Conciliazione giudiziale: l’incompatibilità dei crediti d’imposta

Gianfranco Antico - Dichiarazione dei redditi

La controversia che ha come oggetti il recupero di crediti d'imposta inesistenti utilizzati in compensazione non può essere definita tramite conciliazione giudiziaria

Conciliazione giudiziale: l'incompatibilità dei crediti d'imposta

Come è noto, con la circolare n. 31/E/2020, l’Agenzia delle Entrate, nel fornire fra l’altro una serie di specifiche indicazioni in ordine alle attività di controllo ed eventuale recupero del credito d’imposta ricerca e sviluppo di cui all’articolo 3, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, e successive modifiche e integrazioni, si è soffermata sull’individuazione del termine di decadenza dell’attività di accertamento.

Questo passaggio della circolare ci consente di presentare un caso pratico di inconciliabilità, alla luce delle indicazioni di prassi.

Conciliazione giudiziale: l’incompatibilità dei crediti d’imposta e il loro utilizzo

La circolare n. 31/E/2020 ricorda che qualora a seguito dei controlli sia accertato che le attività/spese sostenute non siano ammissibili al credito d’imposta ricerca e sviluppo si configura un’ipotesi di utilizzo di un credito “inesistente per carenza totale o parziale del presupposto costitutivo ed il relativo atto di recupero dovrà essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione, non rilevando ai fini della violazione sopra richiamata la mera esposizione del credito in dichiarazione annuale.

Infatti, per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’art.17, del Decreto Legislativo numero 241/1997, l’articolo 27, comma 16, del DL 185/2008, convertito, con modificazioni, dalla Legge 2/2009, dispone che:

“[…] l’atto di cui all’articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato […], deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo.”

Così, ad esempio, osserva la circolare dell’Agenzia delle Entrate numero 31/E/2020:

“qualora il controllo verta sull’esistenza del credito d’imposta maturato nel periodo d’imposta 2015, indicato nella dichiarazione presentata nel 2016 e utilizzato in compensazione nel corso del 2017, gli Uffici potranno procedere alle operazioni di verifica entro l’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione, e, qualora riscontrino che il credito utilizzato è inesistente per mancanza dei presupposti costitutivi, dovranno notificare l’atto di recupero entro il 31 dicembre 2025.”

Né è di ostacolo all’applicazione della suddetta norma la circostanza che in relazione a talune fattispecie potrebbe non essere stato richiesto, in quanto facoltativo, il parere tecnico al MISE.

Infatti, ferma restando l’opportunità di attivare la suddetta richiesta nelle situazioni caratterizzate da un grado di tecnicismo elevato o dalla assoluta novità della questione riscontrata:

“gli Uffici, ricorrendone le condizioni, potranno procedere al recupero del credito d’imposta inesistente anche senza la previa acquisizione del parere tecnico del citato Ministero, laddove dovessero ritenere in base a proprie autonome valutazioni (tenuto conto altresì dei chiarimenti forniti sul tema nei documenti di prassi pubblicati o della assimilazione ad altre fattispecie già esaminate) che nella specifica fattispecie oggetto di controllo non ricorrano le condizioni di ammissibilità delle attività o delle spese al beneficio fiscale.”

Inconciliabilità dei crediti d’imposta: la sanzione dei crediti inesistenti

Nelle ipotesi di contestazione di crediti inesistenti trova applicazione la sanzione di cui all’art.13, comma 5, del D. Lgs. n. 471 del 1997 secondo cui:

“Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.”

Fermo restando che per tale sanzione non è applicabile la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del D .Lgs. n.472/97, la circolare n.31/E/2020, rammenta che:

  • il contribuente può beneficiare della riduzione delle sanzioni prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997 (cd. ravvedimento), anche successivamente alla constatazione della violazione, ma comunque prima che sia stato notificato l’atto di recupero;
  • i competenti Uffici, in ragione delle “circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione”, potranno applicare la predetta sanzione riducendo sino la stessa alla metà del minimo edittale, ai sensi del comma 4 all’articolo 7 del decreto legislativo n. 472 del 1997.

Inconciliabilità dei crediti d’imposta: inesistenza e non spettanza

Secondo un certo pensiero della Corte di Cassazione, il “raddoppio” è applicabile sia ai casi in cui il credito sia originariamente inesistente sia nell’ipotesi in cui si controverte sulla regolarità della compensazione di un credito esistente.

Infatti, il termine di otto anni per il recupero dei crediti d’imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l’“inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” dello stesso, ma mira a garantire un margine di tempo adeguato, per il compimento delle verifiche riguardanti l’investimento che ha generato il credito d’imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in 8 anni.

A queste conclusioni – interpretando il dettato normativo di riferimento - è giunta la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 355 del 13 gennaio 2021. La Corte, richiamando un proprio precedente - Sez. 5, Ordinanza n. 19237 del 02/08/2017 – ha ribadito che il:

“D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009, nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti d’imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l’“inesistenza” del credito a categoria distinta dalla «non spettanza» dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico-giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l’investimento che ha generato il credito d’imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per il comune avviso di accertamento.”

E in senso conforme segnaliamo Cass.n.24093/2020.

Tuttavia, va registrato anche un indirizzo opposto da parte della stessa Corte di Cassazione che, con la sentenza n.34445 del 16 novembre 2021, ha affermato che il termine lungo presuppone l’utilizzo non già di un mero credito“non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter, del D.P.R.n.600/1973 e all’articolo 54-bis, del D.P.R.n.633/1972.

Per la Corte, il credito fiscale illegittimamente utilizzato dal contribuente può dirsi “inesistente” quando ne manca il presupposto costitutivo:

“(ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente) e quando tale mancanza sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell’anagrafe tributaria, banca dati pubblica disciplinata dal D.P.R. n. 605 del 1973, su cui detti controlli anche si fondano. Non è affatto casuale, del resto, che il raddoppio dei termini di decadenza in discorso sia collegato alla non immediata riscontrabilità da parte del fisco, mediante i suddetti controlli, del carattere indebito della compensazione, la maggior durata giustificandosi, all’evidenza, solo per i casi in cui sia necessaria una più complessa attività istruttoria.”

Per gli Ermellini, l’affermazione secondo cui sarebbe priva di senso logico-giuridico la distinzione tra “credito inesistente” e “credito non spettante” - come sostenuto in precedenti pronunce – va superata anche per effetto della novella normativa, nuovo articolo 13, comma 5, terzo periodo, del D.Lgs.n.471/1997, come introdotto dal D.Lgs.n.158/2015:

“non solo perché quest’ultima è direttamente applicabile alla fattispecie, ratione temporis, ma anche perché nella stessa definizione positiva di “credito inesistente” può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base dell’originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati dal contribuente, mediante l’emissione dell’atto di recupero di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421.”

Infatti, è già assai significativo che tale ultima disposizione si riferisca in linea generale alla “riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi del D. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17” mentre l’art. 27, comma 16, del D.L. n. 185/2008, conv. in L. n. 2/2009D, che estende il termine di decadenza all’ottennio dal relativo utilizzo, concerna invece la sola “riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi del D. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17”, ossia – “già intuitivamente, sul piano semantico, prim’ancora che giuridico - ad una fattispecie necessariamente più ristretta rispetto a quella generale, evidentemente ritenuta più grave”.

Il caso pratico: l’inconciliabilità dell’atto di recupero

Al di là della natura dell’atto di recupero, nel corso di TeleFisco 2021, è stato affermato dalle Entrate – risposta al quesito n.26 – che una volta che la controversia abbia ad oggetto l’atto di recupero di un credito inesistente, utilizzato in compensazione, la stessa non può essere definita tramite conciliazione:

“atteso che la riduzione delle sanzioni che ne conseguirebbe si porrebbe in contrasto con la corrispondente preclusione prevista con riferimento alla fase amministrativa.”

Peraltro, la medesima preclusione della definizione agevolata risultava fissata, in precedenza, dall’articolo 27, comma 18, del D.L.n.185/2008, convertito dalla legge n.2/2009, abrogato e assorbito dalla citata nuova formulazione dell’art.13, comma 5, del D.Lgs.n.471/1997.

Atti di recupero : le novità della Legge di Bilancio 2023

Per completezza d’analisi, segnaliamo che il comma 180, dell’art.1, della L.n.197/2022, prevede che gli avvisi di accertamento, gli avvisi di rettifica e di liquidazione, non impugnati e ancora impugnabili al 1° gennaio 2023 e quelli notificati dall’Agenzia delle entrate successivamente, fino al 31 marzo 2023, possono essere definiti in acquiescenza, ai sensi dell’articolo 15 del D.Lgs.n.218/1997, entro il termine ivi previsto (entro il termine per la proposizione del ricorso) , sempre con la riduzione ad 1/18 delle sanzioni irrogate (e non del minimo previsto).

Il successivo comma 181, della Legge numero 197/2022, estende le disposizioni relative all’acquiescenza anche agli atti di recupero non impugnati e ancora impugnabili al 1° gennaio 2023 e a quelli notificati dall’Agenzia delle entrate successivamente, fino al 31 marzo 2023, con il pagamento delle sanzioni nella misura di 1/18 delle sanzioni irrogate e degli interessi applicati, entro il termine per presentare il ricorso.

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