L’assegno ordinario d’invalidità va sempre integrato al minimo, anche quando è liquidato interamente con il sistema contributivo. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale

L’assegno di invalidità deve sempre essere integrato al minimo, anche nel caso in cui sia liquidato con il sistema contributivo.
A precisarlo è la Corte Costituzionale, che si è espressa a riguardo con la sentenza n. 94/2025.
La Consulta ha ritenuto la scelta di assimilare l’assegno ordinario d’invalidità agli altri trattamenti pensionistici liquidati con il solo sistema contributivo, escludendolo dalle disposizioni sull’integrazione al minimo, è stata ritenuta lesiva dell’articolo 3 della Costituzione.
Vediamo per quali motivi.
L’assegno di invalidità va sempre integrato al minimo
Si chiude il sipario sulla questione legata all’integrazione al minimo per l’assegno di invalidità.
Sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla sezione lavoro della Corte di cassazione si è espressa infatti la Corte Costituzionale, la quale ha ritenuto illegittimo l’articolo 1, comma 16, della legge n. 335 del 1995, cioè la riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.
Oggetto della sentenza è la parte in cui, dal divieto di applicazione delle disposizioni sull’integrazione al minimo di tutti i trattamenti pensionistici, non viene escluso l’assegno ordinario di invalidità liquidato interamente con il sistema contributivo.
L’integrazione al minimo è il meccanismo che incrementa l’importo della pensione ad un importo minimo (603,40 euro per il 2025) nel caso in il valore sia inferiore.
In sostanza, la Corte ha ritenuto che dal divieto introdotto dalla cosiddetta Riforma Dini del sistema previdenziale, che ha previsto il graduale passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, debba essere escluso l’assegno ordinario d’invalidità.
L’assegno di invalidità, ricordiamo, è la prestazione a cui hanno diritto lavoratori e lavoratrici che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, subiscono un calo della propria capacità di prestare un’attività lavorativa a meno di un terzo. Nello specifico, la capacità lavorativa deve essere ridotta a meno di un terzo.
Integrazione al minimo per l’assegno di invalidità: possibili arretrati in arrivo
Nell’esporre le motivazioni alla base della sentenza, la Corte ha precisato che, dall’introduzione nel 1984 sotto il regime di computo retributivo, l’assegno di invalidità è stato sempre oggetto di una disciplina peculiare e più benevola, in quanto diretto a fronteggiare uno stato di bisogno meritevole di particolare tutela.
In considerazione di questo, evidenzia la Corte, anche il modello di integrazione al minimo è sempre stato diverso rispetto a quello previsto per gli altri trattamenti pensionistici.
Per l’assegno di invalidità, infatti, non scatta l’equiparazione automatica al trattamento minimo INPS, bensì la somma viene incrementata, nel limite del trattamento minimo, per un importo pari a quello dell’assegno sociale a carico della gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali (GIAS).
Pertanto, secondo la Corte, l’eliminazione dell’integrazione al minimo per l’assegno ordinario d’invalidità liquidato con il sistema contributivo previsto dalla riforma Dini non contribuisce a realizzare il principale obiettivo della stessa, cioè la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale.
Questo perché la tutela aggiuntiva dell’integrazione al minimo era già finanziata tramite la fiscalità generale, come le prestazioni del sistema assistenziale.
La Corte evidenzia anche un’altra peculiarità dell’assegno ordinario d’invalidità, ovvero il fatto che il lavoratore o la lavoratrice può aver bisogno di tale trattamento anche molto prima del raggiungimento dell’età prevista per il godimento dell’assegno sociale, oggi erogato solo ai cittadini con almeno 67 anni.
Infine, la Corte ha specificato che l’assegno di invalidità è destinato a sopperire a situazioni in cui il lavoratore ha perso, proprio a causa dell’invalidità, una rilevante percentuale della sua capacità lavorativa e, quindi, la possibilità di accumulare un montante contributivo adeguato. Pertanto, la prestazione:
“si sottrae al giudizio di disvalore espresso dall’ordinamento nei confronti della fuoriuscita anticipata dal mercato del lavoro di soggetti che, pur ancora in possesso di capacità lavorativa, non abbiano tuttavia accumulato una provvista finanziaria idonea a garantire loro, in vecchiaia, un adeguato trattamento pensionistico.”
Per tutte queste ragioni, la Corte ha ritenuto la previsione dell’articolo 1, comma 16, della citata riforma (cioè assimilare l’assegno ordinario d’invalidità agli altri trattamenti pensionistici liquidati con il solo sistema contributivo, vietando quindi anche per tale trattamento l’integrazione al minimo) lesiva dell’articolo 3 della Costituzione, con assorbimento della censura relativa all’articolo 38, secondo comma, della Costituzione.
Infine, la Corte precisa che, in considerazione del fatto che una pronuncia di accoglimento avrebbe determinato un importante e improvviso onere a carico della finanza pubblica per l’anno in corso, in gran parte connesso al recupero degli arretrati, la Corte ha deciso di far decorrere gli effetti temporali della decisione dal giorno successivo a quello di pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale. Non ci sarà quindi il pagamento di eventuali arretrati.
A partire dalla data di pubblicazione in GU, il valore dell’integrazione potrà arrivare ad un massimo di 538,69 euro. Questo il valore dell’assegno sociale nel 2025.
Da tale data, pertanto, se gli assegni di invalidità per lavoratori e lavoratrici dipendenti e autonomi iscritti alla gestione separata INPS con anzianità contributiva dopo il 31 dicembre 1995 hanno un valore inferiore a 603,40 euro al mese, potranno essere integrati al minimo (appunto 603,40 euro). Il valore dell’integrazione non potrà superare i 538,69 euro al mese.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Assegno di invalidità, cambia l’importo minimo