Uno sguardo al futuro del Fisco: verso una robot tax tra rischi, opportunità e soluzioni

Come cambierà il Fisco con le sfide poste dall'innovazione? Spazio alla robot tax, che esiste già, considerando rischi, opportunità e possibili soluzioni

Uno sguardo al futuro del Fisco: verso una robot tax tra rischi, opportunità e soluzioni

Stando a una recente ricerca dell’Università di Oxford, nell’arco dei prossimi dieci anni, gli sviluppi nel campo dell’intelligenza artificiale potrebbero favorire la sostituzione di lavoratori con macchine in quasi la metà dei settori dell’economia.

Negli ultimi anni i progressi in campo tecnologico, per quanto riguarda l’automazione del lavoro, sono stati, in effetti, esponenziali.

A Singapore i taxi senza conducente di nuTonomy hanno cominciato a sostituire quelli tradizionali e Doordash ha sostituito veicoli in miniatura telecomandati ai camerieri nei ristoranti.

Un recente studio, pubblicato sul sito del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha peraltro rilevato come l’eventuale contrazione del lavoro umano a causa dell’evoluzione tecnologica e della diffusione dei robot avrebbe, anche in Italia, conseguenze piuttosto dirette sulle entrate fiscali.

Questo vale per i Paesi occidentali in generale, ma in particolare per l’Italia, dove la percentuale del gettito totale che deriva dal reddito da lavoro tocca il 73 per cento, mentre la tassazione del reddito di impresa produce una quota del solo 17 per cento.

Al fine di non rinunciare ad una quota importante di entrate, potrebbe dunque essere opportuno prevedere nuove imposte in grado di intercettare questo possibile scenario, laddove, per esempio, le forme di prelievo sull’attività dai robot (che, in qualche modo, contribuiranno anche al fenomeno della nuova disoccupazione tecnologica), ipotizzate nella letteratura internazionale, vanno da un’imposizione diretta (aggiuntiva) sulle imprese che usano questa tecnologia, alla tassazione sul virtuale compenso che avrebbero i robot in quanto sostituti degli esseri umani.

Robot tax nel Fisco del futuro

L’idea di introdurre una “Robot Tax” parte dalla considerazione di considerare il robot un centro autonomo di posizioni giuridiche, come, a ben vedere, anche la raccomandazione UE del 16 febbraio 2017 sembrerebbe suggerire.

Da un punto di vista normativo, del resto, un Robot potrebbe ben configurare una “sede fissa di affari”, idonea pertanto ad individuare, anche secondo l’attuale dizione dell’art. 162 del Tuir, una stabile organizzazione, soggetto passivo del Fisco nazionale.

Nell’economia digitale non sono infatti da sottovalutare gli effetti giuridici della presenza di “robot” e/o “intelligenze artificiali”, o “applicazioni”, in grado di relazionarsi con gli individui (utenti), fino ad ordinare loro un pagamento, o raccogliere un ordine, con quindi un vero e proprio potere decisionale, in grado di individuare una vera e propria soggettività passiva di imposta sul territorio nazionale.

Nella “digital economy” un “Robot” potrebbe quindi considerarsi un’entità che produce reddito, o comunque una stabile organizzazione della Società non residente per la quale “lavora”.

Quindi, il problema, più che alla tassazione degli utili (e, naturalmente, agli effetti sulla forza lavoro sostituita), potrebbe guardare alla soggettività passiva del tributo.

L’alternativa a questa soluzione sarebbe invece ipotizzare (in particolar modo nel caso di imprese che già abbiano in Italia la propria sede e soggettività passiva) una sorta di imposizione aggiuntiva sull’attività produttiva dell’impresa (e non sul robot in sé considerato, come prima ipotizzato), che, diventando più efficiente attraverso l’automazione (e dunque, in qualche modo, almeno finché il fenomeno robot non diventerà generalizzato, falsando anche il mercato di libera concorrenza), potrebbe essere ragionevolmente soggetta ad un maggior prelievo fiscale.

La prima e più ragionevole obiezione alla proposta di introduzione di un tale tipo di imposta è però che la robot tax, in realtà, esiste già.

Se infatti un’azienda, sostituendo 50 dipendenti con i robot, consegue più utili, su quelli dovrà già oggi pagare maggiori tasse.

Ma ciò non toglie che la tassazione sulle imprese è oggi proporzionale, ad aliquota fissa del 24 per cento, e non progressiva, cioè crescente all’aumentare del volume d’affari.

Il che significa che se, come detto, l’utilizzo dei robot aumenta in modo più che proporzionale gli utili, il Fisco intercetterà solo una parte di quel vantaggio, con anche, però, l’esternalità negativa del costo sociale della disoccupazione che l’utilizzo di quei robot potrebbe determinare.

Robot tax tra rischi, opportunità e soluzioni

Imporre una tassa più cospicua, d’altro canto, potrebbe però rischiare di rallentare il ritmo dell’innovazione tecnologica.

Il vero problema è comunque che in un sistema guidato dalle sole forze del mercato lo spostamento in avanti della frontiera scientifica e tecnologica si potrebbe tramutare, pressoché esclusivamente, in profitti e rendite per pochi.

L’esigenza, allora, non è quella di ostacolare le innovazioni che sostituiscono lavoro, ma piuttosto quella di individuare criteri che consentano di distribuire sull’intera collettività i benefici potenziali di tali cambiamenti tecnici.

I sistemi fiscali, del resto, si evolvono seguendo l’evoluzione delle basi imponibili (effettive e potenziali).

La proposta di tassare i robot non è quindi in sé stravagante, perché, se la base imponibile rappresentata dal lavoro si riduce, il prelievo potrebbe allora ragionevolmente indirizzarsi verso altre fonti, anche con modalità inedite.

Piuttosto complesso appare, anche da un punto di vista giuridico/civilistico, immaginare un sistema in cui vengono individuati i singoli robot come soggetti passivi da colpire.

Senz’altro più facile, invece, potrebbe essere prevedere l’aumento (a mero titolo di esempio, di un punto percentuale) dell’aliquota IRES qualora un’attività produttiva sia realizzata e gestita direttamente da macchine intelligenti.

Unitamente magari a misure in favore della riqualificazione professionale, stabilendo, ad esempio, che se l’impresa che impiega i robot decide di investire nel relativo anno d’imposta una somma pari allo x per cento dei propri ricavi in progetti di riqualificazione professionale dei lavoratori, o in strumenti di welfare aziendale, non si applica l’aumento della tassazione.

Quindi, in termini concreti, le strade per impostare una tassazione specifica su questo settore potrebbero essere sostanzialmente tre:

  • incrementare la tassazione sulle imprese che si avvalgono di robot (prevedendo, comunque, anche meccanismi di reinvestimento degli utili a tutela dei lavoratori);
  • considerare i robot come soggetti potenzialmente imponibili. Un’imposizione di questo tipo potrebbe consistere, ad esempio, nel creare un nuovo statuto giuridico di “persona elettronica”, laddove il Parlamento Europeo è effettivamente andato in questa direzione, chiedendo alla Commissione di prendere in considerazione la creazione di uno status giuridico specifico per i robot;
  • spostare la tassazione dal lavoro agli altri redditi, mantenendo in tal modo costanti gli introiti e cercando di sostituire, per esempio, i contributi sociali basati sulle retribuzioni con un prelievo sul valore aggiunto.

In sostanza, la soluzione potrebbe consistere nell’individuare ed intercettare le nuove basi imponibili.

In conclusione, investire nei robot è come investire in un generatore di carbone, che aumenta sì la produzione economica, ma, al contempo, impone anche un costo sociale, un’esternalità negativa, quale quello della disoccupazione, fenomeno, a lungo termine, socialmente costoso e comunque potenzialmente dannoso per le politiche economiche dei governi.

Una tassa appropriata e ben calibrata sui robot potrebbe allora avere un valore strategico cruciale.

E già qualche Stato ha deciso di intraprendere questa strada.

La Korea del Sud, per esempio, ha introdotto la prima robot tax al mondo, anche se, a dire il vero, più che di una nuova imposta, si sta parlando di una riduzione dei benefici fiscali finora previsti per gli investimenti nell’automazione.

Per intercettare i nuovi fenomeni dell’evoluzione tecnologica una cosa, comunque, è certa: bisogna anche avere un po’ di fantasia.

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