Redditometro: non c’è evasione se il reddito presunto non esiste in tutto o in parte

Emiliano Marvulli - Dichiarazione dei redditi

Redditometro: in caso di accertamento il contribuente può dimostrare che il reddito presunto sulla base del coefficiente non esiste o esiste in misura inferiore. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 31844 del 2023

Redditometro: non c'è evasione se il reddito presunto non esiste in tutto o in parte

In caso di accertamento fondato sul c.d. “redditometro”, collegato alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, la prova contraria da parte del contribuente non è limitata a dimostrare che il maggior reddito accertato è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, ma è consentito dimostrare che il reddito presunto sulla base del coefficiente non esiste o esiste in misura inferiore.

Nel giudizio di merito il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova contraria offerta dal contribuente.

Questo il contenuto dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 31844 del 15 novembre 2023.

Accertamento fondato sul redditometro: la decisione sul caso in esame

La controversia ha preso le mosse dall’impugnazione da parte di un contribuente di un avviso di accertamento ai fini Irpef emesso dall’Agenzia delle entrate sulla base del cd. “redditometro”, sulla scorta di una serie di beni indice, tra i quali autoveicoli e motoveicoli ritenuti rappresentativi di un maggior reddito.

Il ricorso è stato respinto dai giudici della CTP ma la CTR ha poi parzialmente riformato la sentenza di primo grado, accogliendo in parte l’appello del contribuente.

La C.t.r. in particolare ha ritenuto che il possesso di beni mobili registrati fosse indice di capacità contributiva aggiungendo, tuttavia, che, in ragione della situazione concreta, il reddito accertato in ragione del possesso degli stessi dovesse ridursi rispetto al quantum accertato dall’Ufficio.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso in cassazione per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

L’Ufficio assume che, in presenza di uno o più beni o servizi compresi nelle specifiche tabelle, la propria attività è vincolata all’applicazione degli indici e dei coefficienti moltiplicatori previsti nei decreti ministeriali attuativi.

Si è in presenza di una presunzione legale relativa con la conseguenza che, una volta accertata l’esistenza di tali elementi e circostanze, spetta al contribuente fornire la prova dell’inesistenza della capacità reddituale.

Inoltre, essendo il possesso di determinati beni considerato ex lege correlato ad una determinata capacità contributiva, il giudice di merito non può modificarne la capacità presuntiva perché il reddito ottenuto tramite redditometro non è espressione della sola spesa di mantenimento dei beni, ma si ricollega al reddito complessivo.

Per l’effetto, la C.t.r., ha errato perché ha privato di efficacia probatoria il calcolo del reddito come determinato in base al redditometro, anziché valutare la prova contraria offerta dal contribuente in ordine alla provenienza non reddituale e, quindi, non imponibile, della somma necessaria per mantenere il possesso dei beni o perché già sottoposta ad imposta o perché esente.

Le conclusioni della Corte di Cassazione

I giudici di piazza Cavour hanno accolto le doglianze dell’Amministrazione finanziaria e ha cassato con rinvio la decisione impugnata.

Il metodo di accertamento fondato sul c.d. “redditometro” collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione.

Nel testo vigente ratione temporis l’art. 38, co. 4 dPR 600/1973 prevede la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento.

Il successivo comma 5 contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente.

Resta comunque salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.

Costante orientamento della Corte di cassazione afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa.

Di conseguenza, l’accertamento non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, oltre che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, anche che, più in generale, il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.

In altre parole, la prova contraria non è limitata a dimostrare che il maggior reddito accertato è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, ma è consentito dimostrare che il reddito presunto sulla base del coefficiente non esiste o esiste in misura inferiore.

Sotto tale profilo, va disatteso l’assunto dell’Ufficio finanziario secondo cui il contribuente poteva vincere la prova presuntiva solo provando che i redditi ricostruiti dall’Ufficio sono redditi esenti o soggetti a ritenuta.

La Corte di cassazione ha, tuttavia, chiarito che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova contraria offerta dal contribuente.

Nel caso di specie il giudice di merito non si è attenuto a tali principi in quanto, invece di esaminare e valutare quanto eventualmente allegato e provato dal contribuente per giustificare gli indici di spesa rilevati con l’accertamento sintetico dall’Agenzia, ha ridotto i coefficienti di cui al d.m., rideterminando il reddito sinteticamente accertato, adducendo che detti ultimi avevano ragion d’essere in una situazione “normale” di mezzi effettivamente utilizzati, non ravvisabile nella fattispecie in ragione del numero e della vetustà dei veicoli.

Da qui l’accoglimento del ricorso proposto dalla Parte pubblica.

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