Pagamenti PA: tempi ridotti ma sempre ultimi in Europa

Stefano Paterna - Pubblica Amministrazione

Pagamenti pubblica amministrazione: i tempi si riducono ma i ritardi cronici ci piazzano all'ultimo posto nell'Unione Europea. Ecco gli ultimi dati.

Pagamenti PA: tempi ridotti ma sempre ultimi in Europa

I ritardi nei tempi dei pagamenti della Pubblica Amministrazione si stanno riducendo.

La conclusione si evince da quanto ha pubblicato il Ministero dell’economia e delle finanze all’inizio di ottobre in un lungo e articolato dossier.

Stando ai dati di PCC, la Piattaforma dei crediti commerciali creata dalla Ragioneria generale dello Stato, nel 2017 sono state pagate circa 19 milioni di fatture di importo pari a 115,9 miliardi di euro.

La cifra corrisponde all’83 per cento del totale delle fatture che riguardano la pubblica amministrazione, al netto dell’Iva e delle somme sospese.

I tempi medi ponderati che si sono resi necessari per il pagamento sono stati di 55 giorni, con tempi medi ponderati di ritardo pari a una settimana.

Quest’ultimo dato, secondo le cifre del Mef, è circa la metà del ritardo con il quale le amministrazioni pubbliche hanno evaso le fatture passive del 2016. Bisogna però tenere bene in conto che questo andamento positivo è sottostimato, in quanto il PCC riscontra il totale delle fatture emesse, ma non tutte quelle pagate dalle amministrazioni.

Pagamenti Pubblica Amministrazione: ritardi, tempi e criticità evidenziate anche dall’Eurostat

I limiti di questo andamento positivo sono facilmente evidenziabili dalla lettura dei dati emessi da Eurostat lo scorso mese e che evidenziano, in una nota sulle passività per titoli su crediti e anticipi, come l’amministrazione pubblica italiana sia la peggiore in Europa (al pari della Croazia) con circa 50 miliardi euro di passività cumulate, pari al 3 per cento del Pil nazionale.

In realtà, bisogna pur dire che prendendo come riferimento il 2014, Eurostat nota un progresso, visto che quell’anno i debiti ammontavano a 53 miliardi e 190 milioni di euro (3,3 del Pil), per passare poi nel 2015 a 50 miliardi e 510 milioni (3,1 per cento) e nel 2016 a 50 miliardi e 426 milioni di euro (3 per cento del Pil).

Resta tuttavia il fatto incontestabile del primato negativo dell’Italia, condiviso sì dalla Croazia che ha anch’essa un debito del 3 per cento sul Pil, ma ovviamente con una cifra assoluta assai più bassa: 10 miliardi e 971 milioni di euro.

Tempi e ritardi dei pagamenti della Pubblica Amministrazione: gli aggiornamenti dell’ultimo periodo

Il Mef fornisce, inoltre, dati aggiornati sul pagamento dei debiti contratti dagli enti pubblici fino allo scorso mese.

In particolare, si appura in questo modo che al 5 ottobre 2018 sono state rese disponibili dal 2013 agli enti debitori 47,3 miliardi di euro, mentre 45,5 miliardi di euro sono quelli pagati da questi ultimi ai creditori.

Il finanziamento è davvero cospicuo se si pensa che esso corrisponderebbe al picco del debito considerato scaduto e in ritardo di pagamento, ovvero poco più della metà del debito commerciale complessivo, valutato della Banca d’Italia in 91 miliardi alla fine del 2012.

Gli enti debitori che hanno goduto di questi finanziamenti sono soprattutto Regioni e Province autonome (33 miliardi e 189 milioni) e Province ordinarie e comuni (16 miliardi e 100 milioni).

Le modalità di finanziamento da parte del MEF sono state le seguenti:

  • risorse finanziarie, anticipate direttamente dal Tesoro o tramite la Cassa Depositi e Prestiti;
  • concessione di spazi di disponibilità finanziaria sul patto di stabilità interno;
  • attribuzione di risorse per accelerare i rimborsi fiscali;
  • compensazione di debiti e crediti;
  • assistenza per la cessione del credito dalle imprese agli intermediari finanziari con la garanzia dello Stato.

Ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione e riflessioni sul patto di stabilità interno

Dato che però queste risorse costituiscono un finanziamento che le amministrazioni debitrici dovranno restituire allo Stato, rimane un forte dubbio sull’ipoteca politica ed economica che rimane loro in capo.

Ovvero: in particolare per regioni e province è previsto che esse debbano sottoporre a un tavolo con la Ragioneria dello Stato un piano di rientro, attraverso misure finanziarie atte al mantenimento dell’impegno alla restituzione.

Se questo piano si rivelasse particolarmente rigido le amministrazioni locali che da molti anni soffrono di una cronica penuria di risorse si ritroverebbero comunque in notevoli difficoltà e con la necessità ancora più stringente di tagliare i servizi nei confronti dei cittadini.

Se così fosse, tutta l’operazione avrebbe avuto una ricaduta positiva sull’economia “esterna”: i fornitori privati della pubblica amministrazione; ma negativa sugli enti locali (le regioni in Italia hanno le maggiori responsabilità in materia di sanità) e, potenzialmente, sui cittadini.

Il nodo del patto di stabilità interno potrebbe stringersi ancor di più.

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