Il riconoscimento del credito su dichiarazione omessa

Gianfranco Antico - Dichiarazioni e adempimenti

Il credito d'imposta usato in compensazione non può essere disconosciuto anche se non è stato indicato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi. Questo in assenza della contestazione sull’inesistenza sostanziale del credito da parte dell’Ufficio. Lo ribadisce la Corte di Cassazione

Il riconoscimento del credito su dichiarazione omessa

Il credito d’imposta maturato, utilizzato in compensazione, senza che il contribuente avesse indicato tale credito nella dichiarazione dell’anno precedente, in assenza di contestazione da parte dell’Ufficio sull’inesistenza sostanziale del credito, non è disconoscibile, neanche in caso di omessa presentazione o di omessa indicazione del credito nella dichiarazione annuale.

È questo il principio dettato dall’ordinanza n. 13902/2023 della Corte di Cassazione.

Il fatto oggetto dell’ordinanza

Un contribuente ha impugnato, dinanzi a giudici di primo grado, una cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo automatizzato ex articolo 36-bis del DPR n. 600/73, con la quale veniva disconosciuto e recuperato a tassazione un credito d’imposta di 402,32 euro per IRPEF e di 48 euro per addizionale regionale, opposto in compensazione nella dichiarazione dei redditi Modello Unico 2007, relativa all’anno d’imposta 2006.

Sia in primo che in secondo grado i giudici confermavano la pretesa dell’Ufficio. Da qui il ricorso in Cassazione, che eccepisce, per quel che ci interessa in questa sede, violazione e falsa applicazione dell’art. 36-bis, comma quattro, del DPR n. 600/73:

“in quanto l’Ufficio aveva riconosciuto il credito del contribuente, per cui lo stesso doveva essere considerato ai fini della dichiarazione dei redditi.”

Atteso che tale norma prevede che:

“i dati contabili risultanti dalla liquidazione prevista nel presente articolo si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente e dal sostituto d’imposta.”

Il pensiero degli Ermellini

Gli Ermellini, in effetti, prendono atto che l’Ufficio:

“con riferimento al credito in oggetto, non ne contesta l’esistenza, ma eccepisce unicamente la possibilità di procedere alla compensazione, in quanto non era stato indicato nelle dichiarazioni degli anni precedenti, potendo, a suo avviso, il contribuente richiedere soltanto il rimborso.”

Sul punto, viene tuttavia rilevato che le Sezioni Unite (n. 13378/2016) hanno affermato che in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’articolo 43, del DPR n. 600/73, se diretta ad evitare un danno per la P.A. (DPR n. 322/98, art. 2, comma 8):

“mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8-bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria.”

Ebbene:

“la giurisprudenza pone in evidenza che la dichiarazione dei redditi, nei limiti in cui costituisca dichiarazione di scienza, non è un elemento intangibile ma, di fronte alle richieste dell’Erario, è suscettibile di emenda e ritrattazione, così da influire sulla pretesa fiscale. L’emendabilità degli errori di fatto o di diritto, anche omissivi e pure non meramente materiali o di calcolo, commessi dal contribuente nelle dichiarazioni fiscali (come gli errori di calcolo o liquidazione degli importi dei componenti positivi e negativi del reddito, l’inesatta qualificazione giuridica dei componenti di reddito, l’errata collocazione delle singole poste nelle voci del modello di dichiarazione ecc.), laddove da essi possano derivare oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli imposti dalla legge, rappresenta l’espressione di un principio generale del sistema tributario, ispirato all’articolo 53 Cost. (Cass. 3 giugno 2015, n. 11396); ciò non solo nei limiti temporali in cui la legge prevede il diritto al rimborso, ai sensi dell’articolo 38 del DPR n. 29 settembre 1973, n. 602, ovvero la dichiarazione integrativa nel termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, ex articolo 2, comma 8-bis, del DPR n. 22 luglio 1998, n. 322, ma, altresì, in sede contenziosa, per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, fatti salvi i limiti temporali derivanti dall’esaurimento della fattispecie per trascorrere del tempo, o dal sopravvenire di decadenze (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27562; Cass. 9 ottobre 2019, n. 25288).”

Tale possibilità per il contribuente, osserva la Corte:

“è stata pacificamente riconosciuta anche nei casi di diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato, quando l’opposizione miri a limitare o contrastare la pretesa fiscale che si sia tradotta nell’emissione di una cartella esattoriale o di altro atto impositivo, ma non per introdurre una nuova e contrapposta richiesta di rimborso ovvero per far valere un credito da parte del contribuente (Cass. 20 settembre 2017, n. 21730; Cass. 13 settembre 2017, n. 21242). Infatti, dinanzi alla posizione del contribuente quale titolare di diritti soggettivi perfetti derivanti dalla legge nazionale e dal diritto dell’UE, è il processo tributario il contesto privilegiato nel quale l’esigenza della giusta imposizione trova la sua armonica realizzazione a prescindere da moduli procedimentali diretti a garantire ed agevolare l’azione amministrativa.”

In particolare:

“si è affermato che nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria recuperi, ai sensi dell’articolo 36-bis del DPR n. 600/73, e dell’articolo 54-bis del DPR n. 633/72, un credito esposto nella dichiarazione oggetto di liquidazione, maturato in una annualità per la quale la dichiarazione risulti omessa, il contribuente può dimostrare, mediante la produzione di idonea documentazione, l’effettiva esistenza del credito non dichiarato, e, in tale modo, viene posto nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato (salvo sanzioni ed interessi) qualora avesse presentato correttamente la dichiarazione, atteso che, da un lato, il suo diritto nasce dalla legge e non dalla dichiarazione e, da un altro, in sede contenziosa, ci si può sempre opporre alla maggiore pretesa tributaria del Fisco, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria (Cass. 31 marzo 2022, n. 10290; Cass. n. 25288/2019; Cass. 5 dicembre 2018, n. 31433).”

Nel caso di specie, invece, il giudice di appello non si è conformato al suddetto principio di diritto, avendo ritenuta legittima l’iscrizione a ruolo con riferimento alla ripresa IRPEF, per essere stato il credito di imposta maturato utilizzato in compensazione nel 2006 senza che il contribuente avesse indicato tale credito nella dichiarazione Modello Unico per l’anno 2005;

“ciò senza considerare che, nella specie, non emergeva una specifica contestazione da parte dell’Ufficio della inesistenza sostanziale del credito, avendo quest’ultimo incentrato l’assunto disconoscimento del vantato credito IRPEF soltanto sulla circostanza, di rilievo formale, della impraticabilità del riporto in avanti dello stesso in caso di omessa presentazione o di omessa indicazione del credito nella dichiarazione annuale.”

Alcune note sul riconoscimento del credito d’imposta

Come è noto, con la circolare n. 34/E del 6 agosto 2012, l’Agenzia delle Entrate era intervenuta sul riconoscimento delle eccedenze di imposta a credito maturate in annualità per le quali le dichiarazioni risultano omesse, modificando, di fatto, la posizione assunta nella R.M. n. 74/2007.

In particolare, viene ritenuto legittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria che recupera il credito riportato nella dichiarazione dei redditi successiva, ma derivante da una annualità per cui la dichiarazione è stata omessa, mediante la procedura di cui al citato articolo 36-bis del DPR n. 600/73, con irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 13 del Dlgs n. 471/97.

In tal caso, dopo che il contribuente ha definito l’obbligazione pagando le somme richieste dall’ufficio, nei termini previsti dalla comunicazione di irregolarità ovvero a seguito della notifica della cartella di pagamento o in esito a sentenza definitiva a lui sfavorevole, il contribuente potrà richiedere il rimborso del credito maturato nell’annualità per la quale la dichiarazione risulta omessa, entro due anni dal predetto pagamento ai sensi dell’articolo 21 del Dlgs n. 546/92.

Il riconoscimento del credito potrà inoltre avvenire anche in sede di accordo di mediazione o conciliazione giudiziale.

Successivamente, le Entrate, con la circolare n. 21 del 2013, forniscono ulteriori chiarimenti con i quali smussano la posizione precedentemente assunta.

In pratica, osserva il documento di prassi:

“a seguito del ricevimento della comunicazione di irregolarità in esame, se il contribuente ritiene che il credito non dichiarato sia fondatamente ed effettivamente spettante, può attestarne l’esistenza contabile, mediante la produzione all’ufficio competente, entro il termine previsto dagli articoli 36-bis, comma 3, del DPR n. 600/73 e 54-bis, comma 3, del DPR n. 633/72 (trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione), di idonea documentazione (ad esempio, con riferimento alle eccedenze IVA, mediante esibizione dei registri IVA e delle relative liquidazioni, della dichiarazione cartacea relativa all’annualità omessa, delle fatture e di ogni altra documentazione ritenuta utile).”

Resta ferma, naturalmente, la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di effettuare le attività di controllo ai fini dell’IVA, delle imposte sui redditi o dell’IRAP in merito alla dichiarazione omessa, anche al fine di accertare l’effettività sostanziale del credito maturato nel relativo periodo d’imposta, la dimostrazione dell’esistenza contabile del credito pone il contribuente, ancorché tardivamente, nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato qualora avesse correttamente presentato la dichiarazione.

L’ufficio:

“in esito a tali verifiche, qualora riscontri l’esistenza contabile del credito, ….analogamente a quanto previsto nella fase contenziosa, anziché richiedere l’effettuazione del pagamento seguita da un’istanza di rimborso, potrà “scomputare” direttamente l’importo del credito medesimo dalle somme complessivamente dovute in base alla originaria comunicazione di irregolarità e, conseguentemente, ai sensi del comma 2 dell’articolo 2 del Dlgs n. 462/97, emettere una “comunicazione definitiva” contenente la rideterminazione delle somme che residuano da versare a seguito dello scomputo operato.”

Restano dovuti gli interessi e le sanzioni sulla parte di credito effettivamente utilizzata. Laddove il contribuente provveda a pagare le somme dovute entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione delle somme medesime, potrà beneficiare della riduzione della predetta sanzione ad un terzo, ai sensi del citato comma 2 dell’articolo 2 del Dlgs n. 462 del 1997.

L’appuramento dell’esistenza contabile del credito può essere effettuato esclusivamente dall’ufficio competente nei confronti del contribuente, che è, in tal modo, nella condizione di poter valutare l’opportunità di effettuare o segnalare tempestivamente all’ufficio controlli, eventuali riscontri sostanziali in merito all’effettiva esistenza del credito.

Il contribuente cui viene riconosciuto l’utilizzo dell’eccedenza a credito che si sarebbe dovuta esporre nella dichiarazione omessa, deve essere reso formalmente edotto che l’avvenuta dimostrazione dell’esistenza contabile del credito non preclude, in alcun modo, il potere dell’Amministrazione finanziaria di controllare, ove lo ritenga opportuno e nei termini normativamente previsti, l’effettività sostanziale del credito medesimo ed eventualmente, procedere al recupero dello stesso con le relative ulteriori conseguenze sanzionatorie a suo carico.

Oggi la Corte, con il pronunciamo in esame, conferma le precedenti posizioni, salvo che l’ufficio non abbia dimostrato l’inesistenza del credito.

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