Le regole giuridiche del metaverso e la tassazione degli NFT

Un approfondimento fiscale dell'ultima avvincente sfida della tecnologia: dalla definizione di metaverso e NFT, Token Non-Fungibile, alla questione relativa alla fusione tra mondo reale e virtuale.

Le regole giuridiche del metaverso e la tassazione degli NFT

Neal Stephenson nel romanzo cyberpunk Snow Crash (1992), coniava il termine metaverso, che stava ad indicare uno spazio tridimensionale all’interno del quale le persone fisiche potevano muoversi ed interagire attraverso degli avatar personalizzati.

Il Metaverso rappresenta oggi l’idea di un mondo parallelo, già nel nostro presente, in cui blockchain e smart contracts, NFT, criptovalute e intelligenza artificiale consentono una fusione fra il mondo reale e quello virtuale.

E dunque nell’ambito di un videogioco il giocatore potrà accedere ad un negozio virtuale di un marchio reale, provare attraverso il proprio avatar un articolo, comprarlo e farselo recapitare poi nel mondo reale.

In tale contesto saranno dunque necessarie nuove soluzioni normative in termini di privacy, diritti di proprietà intellettuale ed industriale, ed anche di fisco.

Metaverso: le sfide giuridiche

Un nuovo diritto per un nuovo mondo, in cui la prima domanda a cui rispondere sarà quali sono le fonti del diritto, laddove, secondo i sostenitori del code-based approach, la legge (degli Stati) non sarebbe la fonte primaria del diritto digitale, quanto piuttosto il code, cioè l’insieme dei software e degli hardware che regola il funzionamento del sistema.

Già nel 1996, il giudice Frank H. Easterbrook della Corte d’Appello del Settimo Circuito degli Stati Uniti suggerì, del resto, di definire il diritto digitale come un segmento a se stante degli studi giuridici.

Un anno dopo, in un articolo intitolato “Lex Informatica”, Joel Reidenberg, esperto di diritto delle tecnologie dell’informazione, evidenziò poi come nel cyberspazio la legge e la regolamentazione del governo non sono l’unica fonte di produzione di regole, poiché le capacità tecnologiche e le scelte di progettazione del sistema impongono specifiche regole ai partecipanti.

Spostare le attività commerciali e sociali in una realtà come il metaverso metterebbe dunque il mondo fisico – dove i nostri ordinamenti giuridici esistono e prevalgono – contro il mondo virtuale, dove invece regna il code.

Insomma, sarà necessario che i due sistemi, per convivere, si “parlino”.

Gli ordinamenti giuridici potrebbero allora ad esempio regolamentare le imprese attive nel metaverso, per garantire che le regole di protezione dei consumatori siano recepite direttamente nel code.

In definitiva, la legge dovrà raccogliere la sfida di garantire che il code aderisca alle regole applicabili nel mondo fisico e nel cyberspazio convenzionale.

L’alternativa, certamente non auspicabile, è che il code assurga ad ordinamento normativo prevalente, con attori privati capaci di privare gli utenti delle protezioni sviluppate dai nostri ordinamenti giuridici nel corso dei secoli e che però non saranno sempre adatte alle circostanze che si possono verificare nella virtualità.

Per tale motivo appare sempre più urgente sviluppare una nuova, specifica, legislazione.

Anche al fine di preservare quello che è uni dei più antichi poteri dello Stato: il potere fiscale.

È difficile infatti esercitare tale potere in un mondo senza confini reali.

Le regole giuridiche del metaverso e la tassazione degli NFT

E in tale contesto, ad esempio, è sempre più impellente chiarire quali siano le modalità di tassazione degli gli NFT?

I non-fungible token (NFT) sono token crittografici basati sulla tecnologia della blockchain, che contengono un diritto su un bene digitale.

Il possessore di un NFT acquista, nella pratica, il certificato di autenticità digitale “incorporato” nel token stesso.

Da tempo, peraltro, ci si interroga sulla tassazione delle criptovalute.

Ma qui siamo in un contesto del tutto differente.

La caratteristica primaria delle valute è infatti quella di essere fungibili, cioè interscambiabili.

Una banconota da 50 euro è identica ad un’altra banconota da 50 euro. E lo stesso discorso vale per le cripto, anche se sono in ambito digitale.

Un NFT, invece, per definizione è un Token Non-Fungibile, non modificabile e non replicabile.

È cioè un oggetto unico.

Per questo motivo, un NFT è da un punto di vista fiscale assimilabile più ad una opera d’arte o un oggetto da collezione.

Quindi, quando parliamo di criptovalute e valute estere ci muoviamo nell’ambito degli investimenti finanziari.

Al contrario, quando parliamo di NFT, è importante innanzitutto capire se la compravendita di NFT è una attività abituale o occasionale.

In base a quelle che sono le attuali regole del nostro Ordinamento giuridico, infatti, qualora fossero compiute una/poche operazioni con gli NFT, senza abitualità, prevalenza e senza l’intenzione di speculare, le plusvalenze non verrebbero tassate, come avviene nella posizione del collezionista privato di opere d’arte.

Il venditore occasionale è poi colui che acquista opere d’arte/NFT saltuariamente e le rivende per trarne un profitto.

Quello del collezionismo non è dunque il suo lavoro principale, e pertanto questi redditi non sono prevalenti sul totale.

In questo caso, non siamo di fronte ad una attività commerciale professionale, quindi non viene prodotto reddito d’impresa.

Eventuali guadagni rientrano però nella categoria dei “redditi diversi”, cioè i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente; e (sempre ad ordinamento vigente) si applica la tassazione marginale nel quadro RL della dichiarazione dei redditi.

Il mercante d’arte è infine colui che acquista, in modo abituale e prevalente, le opere d’arte con il fine specifico di rivenderle per trarne un profitto.

In questo caso c’è dunque abitualità, prevalenza e fine di lucro.

E trattandosi di attività professionale, ad ordinamento vigente, essa produce reddito d’impresa, con conseguente soggezione ad IVA delle stesse operazioni.

Infine, nel silenzio normativo e della prassi dell’Amministrazione finanziaria, resta il dubbio in merito al corretto trattamento con riferimento agli obblighi di monitoraggio fiscale.

Infatti, in ragione delle caratteristiche intrinseche di tali beni, non esistendo, di fatto, criteri di “localizzazione geografica” all’estero dell’NFT, sarebbe difficile configurare l’esistenza di un tale obbligo in capo al possessore.

Con riferimento agli obblighi di monitoraggio fiscale, l’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990 prevede del resto che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate residenti in Italia, che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero, ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi.

Ma possono gli NFT rientrare in tale definizione?

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