Licenziamento illegittimo: cosa cambia con il Decreto dignità

Carla Mele - Leggi e prassi

Il Decreto Dignità prevede un aumento dell'indennità di risarcimento prevista per il lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Ecco cosa cambia.

Licenziamento illegittimo: cosa cambia con il Decreto dignità

Licenziamento illegittimo: cambia l’indennità riconosciuta al lavoratore per effetto delle novità introdotte dal Decreto Dignità.

Tra le disposizioni previste dal D.Lgs. 23/2015 (Job act) è stabilito, all’articolo 3 comma 1, che il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto a ricevere un’indennità risarcitoria, non soggetta a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.

La retribuzione da prendere in considerazione è quella utilizzata per il calcolo del trattamento di fine rapporto e, per ottenere il risarcimento così calcolato, l’illegittimità dell’interruzione del rapporto di lavoro deve essere stata stabilita in sede giudiziale.

Il Decreto Dignità prevede l’aumento dell’importo dell’indennità risarcitoria che il giudice liquida in caso di licenziamento illegittimo, stabilendo il minimo in sei mensilità e il massimo in trentasei.

Vediamo nel dettaglio cosa cambia con il Decreto Dignità in tema di licenziamento illegittimo rispetto a quanto previsto dal Job Act.

Licenziamento illegittimo: il Decreto Dignità raddoppia il risarcimento per il lavoratore

Il D.Lgs. 23/2015 stabilisce che, in presenza di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo o di un licenziamento per giusta causa, se il giudice accerta l’inesistenza degli estremi per il licenziamento, dovrà comminare una condanna per il datore di lavoro corrispondente al pagamento di un’indennità risarcitoria per i lavoratore oltre che a dichiarare l’estinzione del rapporto di lavoro stesso.

L’attuazione del Decreto 87/2018 definito Decreto Dignità per il contenuto di alcune disposizioni urgenti finalizzate al miglioramento delle condizioni e della dignità dei lavoratori e delle imprese, raddoppia i costi di licenziamento per il datore di lavoro quasi del 50%.

La forbice dell’indennizzo aumenta da un mimino di quattro al massimo di ventiquattro mensilità previste dal Jobs act ad un minimo di sei e massimo di trenta sei mensilità calcolate allo stesso modo del Tfr.

Il Decreto Dignità ricalca la precedente disciplina riguardo la motivazione del licenziamento, infatti l’indennità risarcitoria aumenta nel caso di licenziamento illegittimo, mentre in caso di licenziamento comminato con violazione di requisito di motivazione o con un vizio di procedura l’indennità risarcitoria resta la stessa: una mensilità della retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, (in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità).

Riguardo invece la quantificazione del risarcimento in caso di licenziamento illegittimo, le disposizioni del Decreto Dignità andranno ovviamente adattate al caso del datore di lavoro piccolo imprenditore (che non superi i limiti dimensionali previsti dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori).

La condizione di impresa minore, cioè che non raggiunge il requisito dimensionale di quindici dipendenti per attività d’impresa e cinque per impresa agricola, permette all’imprenditore di pagare un risarcimento dimezzato per illegittimo licenziamento: con il Job Act era prevista una mensilità per ciascun anno di lavoro con un tetto massimo di tre mentre, ma a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Dignità, le mensilità da corrispondere in questo caso sono un minimo di due e un massimo di sei.

Stesso discorso vale anche per i datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale o istruzione, ovvero di religione o di culto.

Licenziamento illegittimo: casi di reintegro del lavoratore

Il nuovo Decreto non modifica i casi in cui il lavoratore deve essere reintegrato nel posto di lavoro: l’unica ipotesi resta quella in cui il lavoratore licenziato per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, dimostri in giudizio l’insussistenza del fatto materiale causa del licenziamento.

È il datore di lavoro che in sede di giudizio dovrà dimostrare la sussistenza della legittimità del licenziamento e, quindi, della sussistenza del fatto materiale, a prescindere dall’elemento soggettivo.

La condotta del lavoratore viene valutata soltanto da un punto di vista oggettivo.

Anche in questo caso, se il giudice accerta la mancanza del presupposto del licenziamento, oltre che annullarlo, condanna il datore di lavoro al reintegro del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione utilizzata per il calcolo del TFR, dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi del D.Lgs. 18/2000 all’articolo 4.

In questo caso l’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.

Licenziamento illegittimo: non cambiano le condizioni in caso di conciliazione

Con il nuovo Decreto Dignità, oltre alle condizioni di reintegro, restano immutate anche le condizioni di conciliazione, nelle forme previste dal Job act.

Il datore di lavoro soccombente potrà proporre al lavoratore assunto con contratto di lavoro a tutele crescenti, entro 60 giorni dal recesso, (termine previsto per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento), di trattare l’importo dovuto in sede di conciliazione, secondo l’articolo 2113 del Codice Civile: in caso di accordo tra le parti, l’importo da corrispondere sarà pari ad una mensilità della retribuzione utile per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, pagate all’ex dipendente mediante assegno circolare.

Per incentivare il ricorso alla conciliazione, le indennità così pattuite non sono soggette né a Irpef né a trattenute previdenziali.

Con l’accettazione dell’assegno, il rapporto di lavoro si estingue e il lavoratore rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche nel caso in cui sia già stata avanzata.

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