È impugnabile l’istanza di interpello disapplicativo

Il contribuente ha la facoltà di impugnare la risposta negativa all'interpello, non l'onere. Il mancato esercizio non pregiudica il diritto di contestare la pretesa tributaria in sede giurisdizionale contro il successivo avviso di accertamento.

È impugnabile l'istanza di interpello disapplicativo

Il provvedimento di risposta negativa all’istanza di interpello disapplicativo delle società di comodo è un atto autonomamente impugnabile. Il contribuente ha la facoltà - e non l’onere - di impugnare il provvedimento del Direttore Regionale competente e il mancato esercizio non pregiudica il diritto di contestare la pretesa tributaria in sede giurisdizionale contro il successivo avviso di accertamento.

Così ha statuito la Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 12150/2019.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 12150 dell’8 maggio 2019
È impugnabile l’istanza di interpello disapplicativo. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 12150 del 2019.

La sentenza – La vicenda prende le mosse dal ricorso proposto da una società avverso il provvedimento del Direttore Regionale che aveva rigettato l’istanza di interpello disapplicativo presentato ai sensi dell’art. 37-bis, co. 8 del D.P.R. n. 600/1973.

La CTP ha ritenuto fondate le ragioni della società sul presupposto che quest’ultima avesse giustificato la sua inoperosità come diretta conseguenza del ritardo nella concessione delle autorizzazioni amministrative.

Successivamente la CTR ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso sul presupposto che l’istanza di interpello disapplicativo costituisce atto di diniego di agevolazione fiscale autonomamente impugnabile ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. h), del d.lgs. n. 546/1992.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso in cassazione, censurando la sentenza d’appello nel punto in cui è stato affermato che il provvedimento con il quale è stata respinta l’istanza della società, di disapplicazione della normativa delle società di comodo, sia “atto autonomamente impugnabile dinanzi alla Commissione tributaria”.

Di opposto parere il Collegio di legittimità secondo cui il contribuente ha facoltà di impugnare il diniego del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive di cui al citato art. 37-bis (soppresso dal d.lgs. 128/2015), “atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario”.

Infatti, considerato che detto provvedimento non è presente tra quelli espressamente citati dall’art. 19 del d.lgs. 546/1992, ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, di impugnarlo e il “mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento”. In altre parole la mancata impugnazione di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 citato non determina la non impugnabilità della pretesa tributaria, che può essere successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19.

Al contempo la Corte di Cassazione ha chiarito che l’omessa impugnazione dell’atto di diniego non pregiudica in alcun modo la posizione del contribuente che ad esso non ritenga di adeguarsi, “poiché si tratta di atto privo di efficacia vincolante”.

In particolare, il Collegio ha ribadito che, in caso di risposta negativa, l’amministrazione finanziaria ha sempre facoltà di rivalutare l’orientamento precedentemente espresso e il contribuente può sempre far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico che gli venga notificato.

La risposta positiva, invece, impedisce “all’Amministrazione - sempre che i fatti accertati in sede di controllo della dichiarazione corrispondano a quelli rappresentati nell’istanza - l’applicazione della norma antielusiva oggetto dell’interpello, in applicazione del principio di tutela dell’affidamento, che ha diretto fondamento costituzionale e carattere generale anche nell’ordinamento tributario, nel quale trova espresso riconoscimento nell’art. 10 della legge n. 212 del 2000”.

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