Effetti della mancata risposta a questionario

Giovambattista Palumbo - Dichiarazione dei redditi

Omessa risposta al questionario dell'Amministrazione finanziaria: con l'Ordinanza n. 28308 del 2021, la Corte di Cassazione ha chiarito alcuni aspetti degli effetti processuali a carico del contribuente. Focus sul tema, partendo da un caso pratico.

Effetti della mancata risposta a questionario

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 28308 del 15 ottobre 2021, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di effetti processuali, a carico del contribuente, a seguito di omessa risposta al questionario dell’Amministrazione finanziaria.

Nel caso di specie, la vicenda traeva origine dalla notifica di due avvisi di accertamento in via sintetica, rispettivamente per gli anni 2006 e 2007, laddove i verificatori, per il 2006, avevano rilevato, nella disponibilità del contribuente, tre vetture, una imbarcazione da diporto di 14,90 metri in forza di contratto di leasing, sino ad aprile 2006, una residenza principale di mq 146; due residenze secondarie di mq 45 e 40 e la somma di euro 55.313,70 ereditata.

Ne derivava la quantificazione sintetica di un reddito netto complessivo di euro 106.681,14, a fronte di euro 984,00 dichiarate.

Per il 2007 gli operatori rilevavano poi la perdurante disponibilità delle tre vetture e delle residenze già indicate per il 2006, risultandone un reddito di euro 110.295,44, a fronte di euro 2.500,00 dichiarate.

Venivano poi anche conteggiati, per ciascun anno, quote di reddito per successivi incrementi patrimoniali.

Il contribuente impugnava gli atti impositivi e la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva i ricorsi presentati per ciascun anno e poi riuniti.

La Commissione Tributaria Regionale accoglieva, invece, l’appello dell’Ufficio.

Corte di cassazione - Ordinanza numero 28308 del 15 ottobre 2021
Il testo integrale dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 28308 del 15 ottobre 2021.

Effetti della mancata risposta a questionario: il caso dell’Ordinanza n. 28308/2021

Il contribuente, infine, proponeva ricorso per cassazione, lamentando, per quanto di interesse, la violazione dell’art. 32 del Dpr. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 25 della legge n.28 del 1999, e censurando, in particolare, la sentenza laddove aveva ravvisato “la violazione dell’art. 32 del d.P.R. n.600/73, in quanto il contribuente ha prodotto l’intera documentazione richiesta per giustificare il proprio tenore di vita solo in sede di ricorso avanti ai giudici di prime cure, non giustificandone la mancata produzione in risposta all’invito dell’ufficio per causa a lui non imputabile”.

Il ricorrente contestava inoltre anche l’affermazione dello stesso giudice di appello, secondo cui i documenti addotti non erano neppure ammissibili, in quanto prodotti tardivamente in sede contenziosa.

Per conto suo, l’Ufficio, nel controricorso, sosteneva invece che la decisione della CTR sul punto fosse corretta, in quanto il contribuente aveva omesso di fornire le informazioni richiestegli con il questionario, senza dimostrare che la mancata comunicazione delle informazioni era stata determinata da causa a lui non imputabile.

Secondo la Suprema Corte, la censura con cui il ricorrente contestava la ritenuta inammissibilità della documentazione era da ritenersi fondata.

Evidenziano infatti i giudici di legittimità che la giurisprudenza di Cassazione ha più volte affermato che “In tema di accertamento tributario, l’inottemperanza del contribuente a seguito dell’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, ex art. 32, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, comporta l’inutilizzabilità in sede amministrativa e processuale solo dei documenti espressamente richiesti dall’Ufficio, in quanto detta disposizione normativa deve essere interpretata in coerenza con il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. e con il principio di capacità contributiva ndi cui all’art. 53 Cost.” (Cass., 22/06/2018, n. 16548; Cass. n. 2011/2018 e n. 3442/2021).

Effetti della mancata risposta a questionario: la posizione della Corte di Cassazione

La Commissione Tributaria Regionale non si era dunque conformata a tale interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto aveva censurato la mancata compilazione del questionario senza valutare però, al fine di ritenere tardiva la documentazione prodotta in sede contenziosa, se la richiesta dell’Ufficio, avanzata con il questionario, indicasse documenti specifici e se l’omessa trasmissione avesse riguardato proprio gli atti additati.

Soltanto in tal caso, infatti, rileva la Corte, la ritenuta inammissibilità sarebbe stata corretta.

Mentre non lo sarebbe stata se la richiesta fosse stata formulata in termini di generiche informazioni e senza inserire l’avvertimento della conseguente preclusione dell’utilizzabilità dei documenti segnatamente indicati.

E nella specie, secondo la Corte, dalla stessa prospettazione enunciata nel controricorso, si evinceva che la richiesta aveva avuto, appunto, una formulazione non puntuale, laddove lo stesso Ufficio ricordava d’aver invitato il contribuente a “fornire ogni altra informazione ritenuta utile per la corretta valutazione degli elementi indicativi della capacità contributiva”, così mancando di precisare al contribuente gli aspetti che l’Ufficio stesso riteneva di dover approfondire.

Al di là dello specifico caso processuale, in termini più generali, giova sul punto anche evidenziare quanto segue.

L’invio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, del questionario, previsto, in sede di accertamento fiscale dall’art. 32, quarto comma, del Dpr. 29 settembre 1973, n. 600, per fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare - giusti i canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria - un dialogo preventivo tra Fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, onde evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario.

Ne consegue quindi che l’omessa o intempestiva risposta è legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa, e non trova applicazione l’art. 58, comma 2, del Dlgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che consente alle parti nuove produzioni documentali nel corso del giudizio tributario di appello, rispetto a documenti su cui si è già prodotta la decadenza.

La sanzione dell’inutilizzabilità, come ribadisce anche la pronuncia in commento, opera però solo in presenza di un invito specifico e puntuale all’esibizione da parte dell’Amministrazione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze derivanti dalla sua mancata ottemperanza, che si giustifica — in deroga ai principi di cui agli artt. 24 e 53 Cost. - per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il Fisco.

In altre parole, la limitazione alla possibilità della prova è collegata ad uno specifico comportamento del contribuente, che si sottrae alla prova stessa, e dunque fornisce validi elementi per dubitare della genuinità di documenti che abbiano a riaffiorare nel corso del giudizio.

Ciò costituisce una giustificazione ragionevole della loro inutilizzabilità, temperata dalla possibilità riconosciuta al contribuente di dimostrare la non volontarietà della sottrazione originaria della documentazione.

La normativa di specie stabilisce infatti che le cause di inutilizzabilità non operano nei confronti del contribuente che depositi in giudizio le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri prima non esibiti e contestualmente dichiari e dimostri di non aver potuto adempiere alle richieste per causa a lui non imputabile, o che comunque ciò non sia stato dovuto a sua negligenza.

In caso, invece, di mancata, volontaria e dolosa indicazione, in sede amministrativa, dei documenti richiesti dall’Ufficio, le giustificazioni addotte poi in contenzioso devono essere considerate mere circostanze soggettive, non potute conoscere dall’Ufficio.

Tale conclusione, peraltro, risulta conforme anche al dettato della Corte Costituzionale, la quale, investita della questione sub specie di violazione del principio della capacità contributiva (“perchè la...decadenza dalla facoltà di produrre documenti in giudizio impedirebbe l’accertamento della effettiva situazione patrimoniale del contribuente e, pertanto, sarebbe causa di imposizione fiscale eccedente la capacità contributiva del medesimo contribuente”), con Ordinanza 7 giugno 2007 n. 181, ha escluso qualsiasi vizio di costituzionalità della norma in riferimento all’art. 53 Cost., comma 1, chiarendo che “la preclusione prevista dalla norma censurata, risolvendosi in un divieto di allegazione in giudizio dei dati e dei documenti non forniti dal contribuente in risposta all’invito dell’amministrazione finanziaria, opera sul piano esclusivamente processuale ed è perciò inidonea a menomare il principio di capacità contributiva”.

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