Determinazione dell’imposta evasa e doppio binario tributario e penale

La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione del doppio binario tributario e penale avendo come caso in esame un'imposta evasa in ambito amministrativo. Alcune riflessioni sul tema che riguardano anche i principi della legge delega

Determinazione dell'imposta evasa e doppio binario tributario e penale

La Corte di Cassazione, Sez. Penale, con la Sentenza n. 34139 del 03 agosto 2023, ha analizzato il profilo della determinazione dell’imposta evasa in ambito amministrativo e della sua rilevanza nell’ambito del processo penale.

Analizziamo il caso in esame facendo una panoramica sul doppio binario tributario e penale.

La pronuncia rappresenta peraltro lo spunto per esaminare i rapporti tra processo penale e tributario, anche alla luce dei principi della legge delega.

Determinazione dell’imposta evasa: il caso in esame

Nel caso di specie, la Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato in relazione all’omessa dichiarazione per essere il reato estinto per prescrizione e riduceva la pena inflittagli con riferimento ai residui reati di cui agli artt. 5 e 11 Dlgs. 74/2000.

Avverso tale sentenza l’imputato proponeva ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, l’erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 5 Dlgs 74/2000 e 192 cod. proc. pen., lamentando che la Corte territoriale aveva determinato l’entità dell’imposta evasa basandosi soltanto sugli esiti dell’accertamento bancario svolto dalla Guardia di Finanza del Dpr. 600/73, accertamento però di natura solo presuntiva.

Secondo il ricorrente la Corte di Appello aveva inoltre erroneamente affermato che l’onere di individuare i costi, componenti negativi del reddito, incombeva sull’imputato.

Con il secondo motivo di ricorso l’imputato deduceva infine che l’elemento oggettivo del reato (esistenza di ricavi di cui si era omessa la dichiarazione) era stato ritenuto dimostrato in maniera viziata sulla base dell’estensione delle indagini finanziarie nei confronti di un soggetto terzo, che svolgeva, a sua volta, attività d’impresa.

La posizione della Cassazione sulla determinazione dell’imposta evasa

Secondo la Suprema Corte le censure erano infondate.

Evidenziano i giudici di legittimità che la Cassazione ha già affermato il principio che, ai fini di verificare il superamento della soglia di punibilità di cui all’art. 5 del Dlgs. n. 74/2000, il giudice può legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari (cfr. Cass. n. 40992/2013; Cass. n. 24811/2011).

È stato infatti chiarito che nessuna norma vieta al giudice penale di avvalersi, ai fini, in generale, della prova della sussistenza degli elementi costitutivi dei reati tributari, ivi compreso quello contestato nella specie, delle risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria, ciò discendendo, se non altro, dal principio di atipicità dei mezzi di prova operante nel principio penale e di cui è espressione la previsione dell’art. 189 cod. proc. pen., restando peraltro salva la necessità che tali elementi siano, ove necessario, fatti oggetto di una autonoma valutazione da parte dello stesso giudice (cfr. Cass. n. 36207/2019).

Per imposta evasa deve del resto intendersi l’intera imposta dovuta, da determinarsi sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario (cfr., Cass. n. 21213/2008).

In definitiva, secondo la Cass., n. 21213/2008, è dunque indubitabile che:

“ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, art. 5, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario”

Ma, per giurisprudenza consolidata della stessa Cassazione, in tema di reati tributari il giudice può comunque legittimante basarsi sull’informativa della Guardia di Finanza e ricorrere anche all’accertamento induttivo dell’imponibile quando la contabilità sia stata tenuta irregolarmente.

Anche l’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può, secondo la Cass., n.1904/2000), quindi rappresentare:

“un valido elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, a condizione che il Giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde”

Quanto ai costi, la stessa Corte ha affermato che, in tema di reati tributari, il giudice, per determinare l’ammontare dell’imposta evasa e il superamento della relativa soglia, deve effettuare una verifica che, pur non potendo prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile, risente delle limitazioni derivanti dalla diversa finalità dell’accertamento penale, con la conseguenza che occorre tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza, quanto meno, di allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza, o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza (cfr. Cass., n. 8700 del 16/01/2019).

Tanto premesso, nel caso di specie, secondo la Cassazione, la Corte d’Appello aveva offerto sul punto un’articolata motivazione, basata sulla autonoma disamina delle risultanze dell’accertamento tributario effettuato tramite indagini bancarie, sull’esame dell’ulteriore materiale probatorio acquisito in dibattimento, nonché sulla compiuta valutazione delle deduzioni difensive, risultando, conseguentemente, correttamente accertato il superamento della soglia di punibilità.

Quanto all’esistenza di costi sostenuti per la produzione del reddito, i giudici avevano poi evidenziato che l’impossibilità di accertare era conseguenza dell’inadempimento degli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili di cui all’art. 22 del Dpr. n. 600/1973.

Il rapporto tra processo penale e tributario: riflessione sul doppio binario

A prescindere dallo specifico caso processuale, la pronuncia rappresenta comunque anche lo spunto per alcune riflessioni in tema di rapporto tra processo penale e tributario e doppio binario, anche alla luce dei prossimi sviluppi di cui alla legge delega L. 111/2023.

Obiettivo fissato dalla legge delega è infatti anche la revisione dei rapporti tra processo penale e processo tributario, laddove l’art. 20, co 1, lett. a), n.3, stabilisce tra i principi a cui uniformarsi:

“rivedere i rapporti tra il processo penale e il processo tributario prevedendo, in coerenza con i principi generali dell’ordinamento, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi e adeguando i profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di applicazione di circostanze attenuanti all’effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale.”

Oggi infatti, a normativa vigente, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non ha automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, potendo valere solo come possibile fonte di prova (cfr. Cass. n. 16262/2017) e questo anche perché:

  • nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7 del Dlgs. n. 546/1992, e trovano ingresso anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario;
  • nel processo tributario, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie.

In base al principio del doppio binario i giudici di merito, allo stato attuale, non violano dunque il giudicato penale laddove ritengano che la sentenza penale non possa far stato nel giudizio tributario, costituendo la decisione penale un semplice elemento di prova.

Per quanto riguarda poi in particolare la disciplina dei rapporti tra il procedimento penale e quello amministrativo (artt. 20 e 21 del Dlgs. 74/2000), vige il principio della completa autonomia reciproca delle due sfere di azione, escludendosi qualsiasi pregiudizialità o vincolo sospensivo tra i diversi contesti.

Ne consegue che, sia l’attività di accertamento degli Uffici finanziari, sia i processi avanti alle Commissioni tributarie si svilupperanno in parallelo e indipendentemente dal processo penale vertente sui medesimi fatti ed a prescindere dalle vicende relative all’altro, ciascuno, appunto, sul proprio binario.

Tale disciplina ha sempre destato non pochi dubbi di legittimità costituzionale per possibile contrasto sia con l’art. 3 Cost. (stante il rischio che la vicenda possa avere esisti non solo diversi, ma persino confliggenti in sede penale e tributaria), sia con l’art. 24 Cost., per la compressione che il diritto di difesa del contribuente rischia di subire in ordine alla non utilizzabilità di prove precluse nel processo tributario e utilizzabili invece in quella penale.

I dubbi sono stati tuttavia fino ad oggi fugati dalla Corte costituzionale, che ha ribadito che la scelta del legislatore di non prevedere la sospensione del processo tributario in attesa dell’esito di quello penale ha natura discrezionale ed incontra pertanto solo il limite della ragionevolezza.

Vedremo ora come in concreto interverrà il Legislatore, ma è chiaro che, visti i principi della Legge delega, il rapporto tra i due processi è destinato a convergere sempre di più.

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