Corruzione: l’Italia non migliora nella graduatoria mondiale

Stefano Paterna - Pubblica Amministrazione

Secondo l'Indice di percezione della corruzione Cpi 2020, l'Italia peggiora di poco la sua situazione. In testa rimangono Danimarca e Nuova Zelanda, in coda ci sono Somalia e Sud Sudan. La crisi pandemica ed economica influisce sul fenomeno corruttivo: chi fa più investimenti sanitari ne ha di meno.

Corruzione: l'Italia non migliora nella graduatoria mondiale

Corruzione nella Pubblica Amministrazione, nel 2020 la situazione in Italia non è migliorata, anzi.

Il risultato emerge dall’ultimo rapporto di Transparency International che classifica il nostro paese al 52° posto nell’Indice di percezione della corruzione Cpi 2020.

Ovvero una posizione in meno rispetto all’anno scorso, pur mantenendo lo stesso punteggio nella speciale graduatoria stilata dalla nota associazione contro la corruzione, che va da 0 punti (paese altamente corrotto) a 100 (paese privo di corruzione).

Non si tratta solo di una sostanziale stabilità di situazione, ma di un segnale negativo.

Per la prima volta dal 2012 l’Italia non marca un risultato positivo in questo indice, che vede di nuovo in testa alla classifica dei Paesi meno corrotti gli stessi del 2019, ovvero Danimarca e Nuova Zelanda.

Indice della Corruzione, Italia a rischio di maggior corruzione?

Nell’arco di sette anni, tra il 2012 e il 2019, il nostro paese aveva guadagnato 11 punti nella classifica redatta da Transparency. Questo progresso non si è ripetuto nell’edizione dell’indice presentata il 28 gennaio e ovviamente riferita al 2020.

I dati, peraltro, sono stati presentati alla presenza di un parterre di intervenuti tra i quali spiccavano il Presidente di Anac Giuseppe Busia e l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria.

In realtà, il Paese mantiene i 53 punti dell’anno precedente, ma perde una posizione nella graduatoria mondiale scendendo al 52° posto su 180 nel mondo, pur conservando il 20° nella classifica dei 27 stati appartenenti all’Unione Europea.

Ma perché questo stop? Non è difficile pensare che la pandemia da Coronavirus e la grave crisi economica che ne è scaturita abbia influito anche sull’indice di percezione della corruzione nel settore pubblico.

In realtà, come ci rendono noto gli stessi responsabili di Transparency la valutazione viene effettuata:

“sulla base di 13 strumenti di analisi e di sondaggi ad esperti provenienti dal mondo del business”.

Non è impensabile pertanto pensare che la evidente e crescente dipendenza del settore privato dell’economia dalla domanda pubblica di beni e servizi ponga questo particolare target di soggetti in una condizione di più agevole percezione della corruzione, forse anche non del tutto veritiera.

Del resto, l’anno scorso lo stesso Indice era molto incline all’ottimismo per quel che riguarda la Pubblica Amministrazione italiana, sentimento non condiviso ad esempio dai dati offerti dalla Cgia di Mestre.

Di sicuro, date le condizioni sociali e sanitarie del paese il tema della corruzione ha perso il posto in prima fila che aveva negli anni scorsi e che si era espresso anche a livello legislativo nella tutela del fenomeno del whistleblowing (ovvero la segnalazione di illeciti da parte dei pubblici dipendenti), nel più ampio diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione e nelle pene aggravate dalla legge anticorruzione del 2019.

In effetti, gli stessi responsabili di di Transparency sembrano più preoccupati dell’immediato futuro che dei dati dell’anno scorso come emerge dalla nota di accompagnamento dell’indagine:

“In questo contesto, le sfide poste dall’emergenza Covid-19 possono mettere a rischio gli importanti risultati conseguiti se si dovesse abbassare l’attenzione verso il fenomeno e non venissero previsti e attuati i giusti presidi di trasparenza e anticorruzione, in particolare per quanto riguarda la gestione dei fondi stanziati dall’Europa per la ripresa economica”.

Il legame tra corruzione, povertà e settore sanitario

Del resto, se si guarda alla testa e alla coda della classifica mondiale redatta da Transparency International si rende ben evidente che esiste di certo un legame tra grado di sviluppo economico e corruzione. Basti pensare che nei primi due posti ritroviamo ancora come nel 2019 Danimarca e Nuova Zelanda con 88 punti, mentre all’ultimo posto appaiati ci sono Somalia e Sud Sudan, entrambi con 12.

Da questo punto di vista è assai comprensibile che l’emergenza sanitaria globale abbia per ora congelato la graduatoria dei paesi classificati nell’indice e per l’immediato futuro possa peggiorare la percezione generale del fenomeno della corruzione.

Semmai quello che si dimostra assai interessante è il dato che emerge dall’indagine e che mette in relazione i più bassi investimenti in sanità con i più alti indici di corruzione con tre esempi:

  • la Romania è tra i paesi più corrotti d’Europa con un punteggio di 44, ma ha anche investimenti in sanità sotto la media dell’UE;
  • l’Uruguay con 71 punti è tra i meno corrotti e anche tra i paesi che spendono di più per la salute in America Latina;
  • il Bangladesh con 26 punti è tra i peggiori paesi in Asia e d è anche tra quelli che spendono poco nel settore sanitario.

Forse la nuova frontiera della lotta alla corruzione non passa dall’adozione di nuovi strumenti giuridici, ma dal rafforzamento del welfare.

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