La caparra penitenziale non genera plusvalenza se non c’è stata vendita

Emiliano Marvulli - Imposte

La caparra penitenziale, che viene trattenuta dal promittente venditore per effetto del diritto di recesso da parte del promittente acquirente, non configura una plusvalenza assoggettabile a tassazione. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l'ordinanza numero 27129 del 2019.

La caparra penitenziale non genera plusvalenza se non c'è stata vendita

Con l’Ordinanza numero 27129/2019 la Corte di Cassazione ha stabilito che la caparra penitenziale, che viene trattenuta dal promittente venditore per effetto dell’esercizio del diritto di recesso da parte del promittente acquirente, non configura una plusvalenza assoggettabile a tassazione perché non si è realizzata alcuna cessione a titolo oneroso.

Corte di Cassazione - numero 27129 del 23 ottobre 2019
La caparra penitenziale non genera plusvalenza se non c’è stata vendita. A stabilirlo la Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 27129 del 2019.

La pronuncia – La pronuncia trae origine dalla promessa di vendita di un terreno di proprietà di un contribuente senza che tuttavia si addivenisse alla stipula dell’atto definitivo di trasferimento, in quanto la società promissaria acquirente aveva esercitato il diritto di recesso.

Tale circostanza legittimava il promittente venditore ad incassare la somma già versata del suddetto importo a titolo di caparra penitenziale. L’Agenzia delle entrate procedeva quindi ad emettere una avviso di accertamento per il recupero a tassazione della plusvalenza non dichiarata pari alla caparra incassata.

La controversia giungeva sino in Cassazione a seguito del ricorso proposto dal contribuente, il quale denunciava violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 6, co. 2 e 67 lett. a) e b) del d.P.R. n. 917/1986. In particolare il ricorrente lamentava non era configurabile una plusvalenza tassabile perché non si era perfezionata la cessione dei terreni, non avendo avuto seguito il preliminare di vendita.

La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il ricorso e, decidendo la causa nel merito, ha accolto l’originaria impugnazione del contribuente. Si precisa a riguardo che la caparra penitenziale è disciplinata dall’art. 1386 cc, che stabilisce che “se nel contratto e’ stipulato il diritto di recesso per una o per entrambe le parti, la caparra ha la sola funzione di corrispettivo del recesso”. Nella decisione in commento i giudici di cassazione partono dalla constatazione (non contestata) che, nella fattispecie in esame, non vi è stata alcuna vendita dei terreni, non essendo stato stipulato l’atto definitivo di vendita.

Pertanto, in assenza di una cessione a titolo oneroso, non si può generare una plusvalenza tassabile in quanto “è esclusa in radice la possibilità di attribuire all’importo trattenuto dal promittente venditore, come caparra penitenziale per effetto dell’esercizio del diritto di recesso della società promittente acquirente, natura di «provento conseguito in sostituzione di reddito», nella specie plusvalenza, quale reddito diverso, assoggettabile a tassazione”.

I giudici di legittimità hanno inoltre precisato che la soggezione a tassazione dell’importo comunque incassato dal promittente venditore non può essere affermata attribuendo alla caparra penitenziale una funzione risarcitoria che le è estranea.

Diversamente, l’incasso da parte del promittente venditore dell’importo, considerato dall’Ufficio come plusvalenza tassabile, si configura come corrispettivo del diritto di recesso, attribuito contrattualmente alla promittente acquirente e da quest’ultima esercitato. Tale qualificazione, a parere della Corte giudicante, “impedisce di considerare la caparra incamerata come risarcimento della perdita dei proventi che, per loro natura, avrebbero generato redditi tassabili in ragione del conseguimento di una plusvalenza”.

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