Gli stipendi crescono ma restano ancora sotto i livelli del 2021

Francesco Rodorigo - Leggi e prassi

Nonostante un aumento consistente nell’ultimo anno, all’inizio del 2025 gli stipendi reali restano ancora inferiori del 7,5 per cento rispetto all’inizio del 2021. I dati OCSE

Gli stipendi crescono ma restano ancora sotto i livelli del 2021

Tra i Paesi OCSE l’Italia è quello in cui c’è stato il maggiore calo dei salari reali.

L’aumento dell’ultimo anno non è bastato a ridurre il gap con il periodo pre pandemia. Nel primo trimestre dell’anno, infatti, gli stipendi erano ancora inferiori del 7,5 per cento rispetto all’inizio del 2021.

I dati aggiornati sono quelli forniti dall’OCSE, nel rapporto pubblicato il 9 luglio.

Focus dell’analisi anche l’invecchiamento della popolazione, con la percentuale della forza lavoro che continua a calare.

Gli stipendi crescono ma restano ancora sotto i livelli del 2021

L’Italia ha fatto registrare il maggior calo degli stipendi reali tra tutti i Paesi dell’OCSE.

Nonostante l’aumento relativamente consistente dell’ultimo anno, all’inizio del 2025 i salari reali erano ancora inferiori del 7,5 per cento rispetto all’inizio del 2021.

Questo uno dei dati salienti nel capitolo dedicato all’Italia del rapporto “Prospettive dell’occupazione OCSE 2025”, pubblicato ieri 9 luglio.

Il documento fornisce una panoramica della situazione del mercato del lavoro in ciascun paese sulla base dei dati contenuti nel rapporto OCSEProspettive occupazionali 2025”. In particolare, questa edizione focalizza l’attenzione sull’impatto dell’invecchiamento della popolazione e della forza lavoro sul mercato del lavoro.

Gli stipendi reali stanno crescendo praticamente in tutti i Paesi dell’OCSE, ma nella metà dei casi i valori restano ancora inferiori ai livelli registrati all’inizio del 2021, cioè prima dell’impennata dell’inflazione che ha seguito la pandemia.

A far registrare il calo più significativo dei salari reali, come anticipato, è proprio l’Italia, fanalino di coda tra le principali economie dell’OCSE.

È vero che gli stipendi sono aumentati in modo relativamente consistente nell’ultimo anno ma, all’inizio del 2025, i salari reali restano ancora inferiori del 7,5 per cento rispetto all’inizio del 2021, come si può vedere anche dal grafico di seguito, pubblicato nel documento.

Ad apportare aumenti salariali negoziati superiori al solito, precisa l’OCSE nel rapporto, è stato il rinnovo dei principali contratti collettivi avvenuto nell’ultimo anno.

Rinnovi che, però, non sono bastati a compensare completamente la perdita di potere d’acquisto causata dall’aumento dell’inflazione.

Non in tutti i settori, inoltre, il CCNL è stato rinnovato. All’inizio del primo trimestre del 2025, un dipendente su tre del settore privato era ancora coperto da un contratto collettivo scaduto.

Quali sono le prospettive future?

Nel complesso, si legge nel rapporto, la crescita degli stipendi reali dovrebbe rimanere modesta nei prossimi due anni.

La retribuzione per dipendente in Italia dovrebbe aumentare del 2,6 per cento nel 2025 e del 2,2 per cento nel 2026.

Valori che comporterebbero aumenti decisamente inferiori rispetto alla maggior parte degli altri paesi dell’OCSE, ma che dovrebbero comunque garantire ai lavoratori e alle lavoratrici italiane dei modesti guadagni in termini reali, in quanto l’inflazione dovrebbe raggiungere il 2,2 per cento nel 2025 e l’1,8 per cento nel 2026.

Cala la percentuale di occupati rispetto alla popolazione

Per quanto riguarda i dati sull’occupazione, strettamente collegati a quelli sui salari, a maggio 2025, il tasso di disoccupazione dell’OCSE rimane al 4,9 per cento, lo stesso di un anno fa, anche se molti paesi mostrano segni di rallentamento.

In Italia il mercato del lavoro ha raggiunto livelli record di occupazione e minimi storici di disoccupazione e inattività.

A maggio 2025, il tasso di disoccupazione è salito al 6,5 per cento (3,1 punti percentuali in meno rispetto a prima dell’inizio della pandemia), sebbene rimanga al di sopra della media OCSE (4,9 per cento).

La crescita, però, è stata trainata in particolare dalle persone oltre i 55 anni di età, il che mette ancora più in evidenza la necessità di politiche volte a favorire l’occupazione giovanile e quella femminile, specie se si considerano anche i dati evidenziati dall’OCSE in merito all’invecchiamento.

Da qui al 2060, infatti, la popolazione in età lavorativa in Italia diminuirà del 34 per cento, per cui si passerà da un anziano a carico di 2,4 persone in età lavorativa a un anziano a carico ogni 1,3 persone. Si prevede, inoltre, che il rapporto tra occupati e popolazione diminuirà di 5,1 punti percentuali. Ipotizzando che la crescita annuale della produttività del lavoro rimanga al livello del periodo 2006-2019 (0,31 per cento in Italia), il PIL pro capite diminuirebbe a un tasso annuo dello 0,67 per cento.

Tra le possibili soluzioni prospettate dall’OCSE, c’è quella di aumentare l’occupazione dei lavoratori anziani in buona salute e promuovere la parità di genere sul lavoro, ma anche promuovere canali di immigrazione regolare e favorire politiche del lavoro che aiutino lavoratori e lavoratrici a rimanere più a lungo nel mondo del lavoro.

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