Calamità naturali: sì al regime di favore se non si realizza un aiuto di Stato

Marcello Maiorino - Leggi e prassi

La Corte di Cassazione chiarisce che per beneficiare di una disciplina fiscale di favore emanata in occasione di eventi calamitosi occorre rispettare le regole sugli aiuti di Stato

Calamità naturali: sì al regime di favore se non si realizza un aiuto di Stato

La fattispecie all’esame della Corte di Cassazione si sofferma sulla possibilità di beneficiare di una disciplina fiscale di favore emanata con riferimento ad un evento calamitoso valutando la compatibilità di tale beneficio con la disciplina sugli aiuti di Stato.

In particolare, le contribuenti risiedevano in uno dei Comuni interessati da eventi sismici e vulcanici, in seguito ai quali, mediante interventi normativi susseguitisi nel tempo, era stato prima sospeso il termine di adempimento degli obblighi tributari, quindi, consentito agli interessati di regolarizzare gli adempimenti rimasti sospesi con adesione ad un’apposita procedura di definizione agevolata, che prevedeva il versamento del 50 per cento di quanto dovuto.

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La fattispecie: disciplina di favore e compatibilità con le norme sugli Aiuti di Stato

L’Ufficio aveva iscritto a ruolo le somme da loro dovute, in attesa di verificare la regolare presentazione delle istanze di definizione e il puntuale pagamento di quanto dovuto.

Le cartelle furono impugnate con atti distinti innanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, che ha respinto i ricorsi.

La società contribuente e la socia hanno quindi proposto appello contro le sentenze dinanzi alla Commissione tributaria regionale competente che ha accolto l’appello.

I giudici di secondo grado a tal proposito hanno osservato che la dichiarazione dello stato di emergenza nel territorio della provincia (per i Comuni interessati dagli eventi calamitosi) aveva comportato, in base a successive proroghe, la sospensione degli adempimenti tributari dei residenti fino al 31 dicembre 2008 e che tale sospensione operava in relazione a tutti i termini in corso che venivano a scadenza nel periodo indicato; la CTR riteneva pertanto che le contribuenti avevano diritto all’agevolazione.

In relazione a quest’ultima, poi, è stato affermato che la norma che l’aveva stabilita, vale a dire l’articolo 1, comma 1011, della legge n. 296 del 2006, risulta compatibile con il diritto dell’Unione Europea, costituendo una fattispecie riconducibile ad “aiuti di Stato non più recuperabili”.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La società deve dimostrare la sussistenza dei requisiti agevolativi nel rispetto della soglia stabilita dalla regola de minimis

I giudici della Corte di Cassazione hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate sulla base delle seguenti motivazioni.

L’Agenzia ha criticato la sentenza di secondo grado in ordine alla ritenuta compatibilità dell’agevolazione con il diritto unionale, osservando che essa si riferisce a redditi di impresa, in quanto percepiti da una società, ovvero da persona fisica titolare di reddito di partecipazione; sostiene, pertanto, che le beneficiarie avrebbero dovuto dimostrare che l’importo chiesto in recupero fosse inferiore alla soglia stabilita dai regolamenti cd. de minimis aventi ad oggetto gli aiuti individuali.

In relazione ad una analoga forma di agevolazione, stabilita dal legislatore per i residenti nei Comuni interessati da un precedente evento sismico, la Corte di Cassazione ha affermato che il rimborso d’imposta, a seguito dell’intervento della Commissione UE, non è applicabile ai soggetti che esercitano attività di “impresa comunitaria”, rispetto alla quale rileva esclusivamente lo svolgimento di attività economica finalizzata a fornire beni o servizi, essendo invece irrilevante l’elemento soggettivo, sia sotto il profilo della qualifica dell’attività (di impresa o professionale, di lavoro autonomo e di esercente attività c.d. protette), sia sotto il profilo della struttura propria del soggetto, sia esso persona fisica o ente collettivo, soggetto di diritto privato o pubblico.

È stato inoltre precisato che, in tema di aiuti di Stato, la nozione euro-unitaria di impresa include qualsiasi entità che eserciti un’attività economica che consiste nell’offrire beni o servizi su un mercato, a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di finanziamento della stessa.

Nel caso di specie, la società contribuente svolge attività economica, i cui proventi costituivano la fonte di reddito della socia accomandataria.

La Corte ritiene pertanto che il giudice di merito avrebbe dovuto verificare, in base alla regola probatoria che fa carico all’interessato, di dimostrare la sussistenza dei requisiti per l’agevolazione – l’ammissibilità del beneficio individuale in base al regolamento de minimis.

In particolare, la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’articolo 92, n.1 del TFUE può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato.

In tal senso, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato interamente.

In mancanza, il giudice di merito avrebbe dovuto valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la decisione della Commissione UE, rendono comunque compatibili gli aiuti con il mercato interno, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 2, lettera b), del TFUE, ovvero che si tratti di

aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale”, sempre che sussista “un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso in base alle misure in esame

Ciò presuppone necessariamente che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una cd. “overcompensation” rispetto ai danni effettivamente subiti dall’impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti.

Inoltre, sempre con riguardo al principio de minimis, occorreva accertare che l’importo chiesto in recupero fosse inferiore alla soglia fissata dal diritto unionale con riferimento all’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria su un periodo di tre anni, a decorrere dal momento del primo.

I giudici d’appello hanno trascurato ogni verifica in tal senso, nel presupposto che la stessa Commissione UE, nel frangente indicato, avrebbe affermato che gli aiuti di Stato non sono recuperabili una volta che siano trascorsi più di dieci anni dalla data della sua decisione.

La Cassazione ritiene che la sentenza di appello abbia fornito una lettura errata della decisione Unionale.

Questa, infatti, ha affermato che l’Italia non ha l’obbligo di recuperare gli aiuti fondati su discipline contra legem concessi per le calamità naturali risalenti ad oltre dieci anni prima della data della decisione.

Ma ciò non è avvenuto nel caso in esame, poiché quest’ultima reca la data del 14 agosto 2015, e l’agevolazione trova il suo referente normativo nell’articolo 1, comma 1011 della legge n. 296/2006.

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