Accertamenti bancari: la prova contraria può essere analitica o presuntiva

Emiliano Marvulli - Imposte

Accertamenti bancari: la presunzione di evasione può essere superata solo se il contribuente offre la prova, analitica o presuntiva, che le movimentazioni non sono riferibili a operazioni fiscalmente rilevanti. Lo stabilisce la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 17413 del 30 maggio 2022.

Accertamenti bancari: la prova contraria può essere analitica o presuntiva

La presunzione di evasione sulla base delle indagini bancarie può essere superata solo se il contribuente offre la prova che le movimentazioni poste a base della rettifica non sono riferibili ad operazioni fiscalmente rilevanti.

Tale prova può essere offerta analiticamente, con la dimostrazione che ogni singolo e specifico versamento bancario sia estraneo a fatti imponibili o che sia stato già inserito in dichiarazione, oppure sulla base di presunzioni semplici.

In tale ultima ipotesi spetta al giudice di merito individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati.

Sono queste le precisazioni contenute nell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 17413 del 30 maggio 2022.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 17413 del 30 maggio 2022
Il testo dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 17413 del 30 maggio 2022

La sentenza – Il fatto trae origine dal ricorso avverso un avviso di accertamento ai fini Irpef con cui l’amministrazione finanziaria aveva determinato un maggior imponibile ai fini IRPEF sulla base delle risultanze delle indagini bancarie condotte nei confronti di un professionista, dalle quali era emerso anche il versamento in contanti non giustificato di 12.000,00 euro sul conto corrente cointestato con il coniuge.

Il ricorso è stato accolto in entrambi i gradi di giudizio e avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. 600/1973, avendo la CTR erroneamente ritenuto che il contribuente avesse fornito una prova idonea a superare la presunzione posta dalla norma sopracitata e dall’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. 633/1972.

La controversia ha ad oggetto un accertamento bancario, normativamente previsto dall’art. 32, co. 1 n. 2 del D.P.R. 600 del 1973 secondo cui i “versamenti” rilevati sui conti del contribuente sono considerati maggior imponibile accertato se questi “non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine”.

Si tratta, in buona sostanza, di una presunzione legale relativa in base alla quale i prelevamenti e i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi.

Dal lato probatorio, l’Agenzia delle entrate non ha l’obbligo di motivare la ragione per la quale ricorre alle indagini bancarie mentre il contribuente ha l’onere di fornire la prova contraria.

In linea di massima per vincere la presunzione legale è necessario fornire una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili, non essendo sufficiente una prova generica.

Il caso di specie riguarda in particolare il versamento di una somma in contanti e la modalità con cui il contribuente può fornire la prova contraria.

Sul punto la giurisprudenza della Corte di cassazione ha ribadito che il contribuente deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili.

In realtà il contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, ma in questo caso il giudice di merito ha l’onere di individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati.

Nel caso di specie la CTR ha ritenuto, sulla scorta dell’esame della documentazione contabile fornita dal contribuente, che il versamento di 12.000,00 euro sia stato adeguatamente giustificato sulla base del fatto che nel periodo controllato il professionista ha incassato in contante compensi per prestazioni notarili eccedenti rispetto alla somma contestata dall’Ufficio.

Da qui il rigetto del ricorso proposto dalla difesa erariale con condanna dell’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di giudizio.

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