Tassazione della ricognizione di debito

Giovambattista Palumbo - Imposte di registro, ipotecarie e catastali

Il trattamento tributario, ai fini dell’imposta di registro, in caso di ricognizione di debito al centro della Sentenza della Corte di Cassazione numero 7682 del 2023

Tassazione della ricognizione di debito

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la Sentenza numero 7682 del 16 marzo 2023, ha chiarito il trattamento tributario, ai fini dell’imposta di registro, in caso di ricognizione di debito.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado, che aveva, invece, accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso un avviso di liquidazione relativo ad imposta di registro non versata in relazione ad una nota di accompagnamento, contenente ricognizione di debito, ad assegno emesso a titolo di prestito personale, senza corresponsione d’interessi, posto a fondamento di un decreto ingiuntivo munito di clausola di provvisoria esecuzione, emesso dal Tribunale in favore del ricorrente.

Tassazione della ricognizione di debito: il caso analizzato dalla Corte di Cassazione

Il decreto ingiuntivo era stato regolarmente registrato e sottoposto alla relativa imposizione e la pretesa dell’Amministrazione finanziaria aveva riguardato la sottoposizione all’imposta di registro, secondo l’aliquota proporzionale del 3 per cento, riguardo all’anzidetta scrittura privata, sul presupposto che nella fattispecie in esame trovasse applicazione l’art. 9 della Tariffa - Parte I - allegata al Dpr. n. 26 aprile 1986, n. 131, rientrando detta scrittura tra gli “atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.

La CTR aveva motivato la decisione attribuendo alla suddetta nota di accompagnamento natura di atto “che costituisce caso d’uso in quanto trattasi di scrittura privata non autenticata, affermando altresì che “la scrittura privata nel prestito di denaro ha il valore di un vero e proprio contratto, soggetta quindi a registrazione “in caso d’uso”.

Concludevano quindi i giudici di appello, statuendo che “nel caso di specie la scrittura privata che documenta l’esistenza di un prestito con statuizione delle clausole ad hoc è stata il supporto probatorio per l’azione in giudizio; ciò per cui è soggetta a registrazione”.

Il contribuente proponeva infine ricorso per cassazione.

E la Sezione tributaria, ritenuto che la controversia ponesse questione di massima di particolare importanza circa la nozione di deposito in caso d’uso e obbligo di registrazione relativo ai documenti depositati nei procedimenti giudiziari, e presupponesse la soluzione di un contrasto tra indirizzi interpretativi difformi in tema di registrazione di atto di ricognizione di debito, rimetteva gli atti al Primo Presidente della Corte, che ne disponeva l’assegnazione alle Sezioni Unite civili.

Per quanto di interesse, il ricorrente deduceva la violazione del Dpr. n. 131/86, art. 6, e relativa tariffa, nella parte in cui la decisione impugnata aveva ritenuto che la nota di accompagnamento costituisse scrittura soggetta a registrazione in caso d’uso e che quest’ultimo, nella fattispecie, fosse da ravvisare nel deposito dell’atto a fini probatori in giudizio.

Il contribuente censurava inoltre la pronuncia con riferimento all’omessa previsione della registrazione di scrittura di ricognizione di debito, che avrebbe dovuto indurre la CTR a confermare la sentenza di primo grado, che ne aveva escluso la sottoposizione ad imposta.

Secondo la Suprema Corte le censure erano fondate.

Evidenziano i giudici di legittimità che, ai sensi dell’art. 1 TUR, l’imposta di registro si applica, nella misura indicata nella tariffa, agli atti soggetti a registrazione e a quelli volontariamente presentati per la registrazione.

L’art. 5 TUR, rileva la Cassazione, prevede, al comma 1, che sono soggetti a registrazione in termine fisso gli atti indicati nella parte prima della tariffa e, in caso d’uso, quelli indicati nella parte seconda. Il comma 2 stabilisce poi che “le scritture private non autenticate sono soggette a registrazione in caso d’uso se tutte le disposizioni in esse contemplate sono relative ad imposizioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”.

Infine, l’art. 6 TUR prevede che “si ha caso d’uso quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell’esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell’adempimento di un’obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organo ovvero sia obbligatorio per legge o per regolamento”.

Tanto premesso, nella specie, la scrittura privata non autenticata di cui si discuteva, ricognitiva di un prestito personale, non atteneva ad operazioni soggette ad IVA e non vi era alcun riferimento al diverso profilo dell’enunciazione di atti non registrati, di cui all’art. 22 TUR, dovendosi, inoltre, rilevare come, secondo la giurisprudenza della Corte, l’enunciazione in sé non costituisca “caso d’uso” (cfr., tra le molte, Cass., 6 aprile 2022, n. 11118; Cass., 29 marzo 2021, n. 8869).

Quanto al disposto dell’art. 6 del TUR, la Corte rileva che la produzione di un atto nei procedimenti giurisdizionali non determina ex se un caso d’uso.

Il deposito dell’atto, perchè ne derivi il “caso d’uso”, deve avvenire infatti “presso le cancellerie giudiziarie nell’esplicazione di attività amministrative e non deve essere oggetto di un obbligo.

L’attività deve dunque costituire frutto di una valutazione discrezionale della parte, la quale intenda conseguire dal deposito un effetto sostanziale e cioè l’acquisizione dell’atto medesimo a fini giuridici.

E, nel caso in esame, il deposito della scrittura privata di cui si discuteva non poteva integrare il detto “caso d’uso”, essendo ciò escluso, anche per prassi della stessa Amministrazione (cfr., Ris., n. 251258 del 5 aprile 1983, per tutte), nelle ipotesi di allegazione di un documento ad un atto giudiziario nell’ambito di un’attività processuale contenziosa.

Le posizioni della Corte di Cassazione sulla tassazione della ricognizione di debito

I giudici evidenziano quindi come una cosa sia l’imposizione sul decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, che l’art. 37 TUR assoggetta ad imposta proporzionale nella misura del 3 per cento, salvo conguaglio in base a successiva sentenza passata in giudicato - imposta pacificamente assolta dal contribuente nella fattispecie in esame -, mentre altra cosa è l’imposizione cui debba, ricorrendone le condizioni, essere assoggettata la ricognizione di debito allegata alla relativa domanda giudiziale.

Su tale ultimo aspetto, il contrasto giurisprudenziale in sede di legittimità, rilevano le SSUU, risente certamente della mancata, espressa, previsione, da parte del Dpr n. 131/86, del trattamento fiscale, ai fini dell’imposta di registro, della ricognizione di debito.

L’esame del trattamento fiscale, ai fini dell’imposta di registro, della ricognizione di debito non può prescindere però dall’esame della natura giuridica della stessa, come disciplinata, unitamente alla promessa di pagamento, dall’art. 1988 c.c., secondo il quale “la promessa di pagamento o la ricognizione di debito dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale. L’esistenza di questo si presume fino a prova contraria”.

La ricognizione di debito, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma determina “un’astrazione meramente processuale della causa debendi”, per la quale il destinatario della ricognizione di debito è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale (cfr., più di recente, Cass. sez. 1, ord. 25 gennaio 2022, n. 2091; Cass. sez. 3, 2020, n. 24451), il quale si presume pertanto fino a prova contraria.

La divergenza, rilevabile, in ambito civilistico, in ordine all’affermazione della natura negoziale (in tal senso, tra le altre, Cass., 3 novembre 2020, n. 24451), o meno, della ricognizione di debito, si riflette poi anche sul piano delle conseguenze impositive in tema d’imposta di registro.

Le Sezioni Unite ritengono in ogni caso che occorra, a tal fine, muovere dall’analisi dal disposto dell’art. 3, parte I, della Tariffa, che, in assenza di esplicita previsione in tema di tassazione degli atti a contenuto ed effetto ricognitivo, è la sola norma che, in termini generali, vi si avvicini e che assoggetta a registrazione in termine fisso, con l’aliquota dell’1 per cento, gli “atti di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura”.

In riferimento alla fattispecie oggetto del giudizio, secondo la Corte, l’atto di riconoscimento del debito era comunque da considerarsi un atto giuridico in senso stretto, dal quale non scaturisce alcun effetto reale o obbligatorio, non potendo ad esso ricondursi un autonomo rilievo patrimoniale, e derivandone, come detto, solo l’agevolazione per il creditore sul piano dell’onere della prova.

Tanto premesso, conclude la Cassazione, alla ricognizione di debito avente natura meramente dichiarativa, la quale non apporta alcuna modificazione nè rispetto alla sfera patrimoniale del debitore che la sottoscrive, nè a quella del creditore che la riceve (limitandosi a confermare un’obbligazione già esistente), deve attribuirsi natura di mera dichiarazione di scienza, rispetto alla quale non è applicabile nè l’art. 9, parte prima, della tariffa, nè l’art. 3, parte prima della tariffa, ma l’art. 4, parte II, della stessa, secondo cui, sono assoggettate, in caso d’uso, ad imposta di registro in misura fissa le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (cfr., Cass. sez. 5, 2021, n. 15268).

In definitiva, le Sezioni Unite enunciano i seguenti principi di diritto:

“Il deposito di documento a fini probatori in procedimento contenzioso non costituisce “caso d’uso” in relazione al Dpr. n. 131/86, art. 6.

La scrittura privata non autenticata di ricognizione di debito che, come tale, abbia carattere meramente ricognitivo di situazione debitoria certa, non avendo per oggetto prestazione a contenuto patrimoniale, è soggetta ad imposta di registro in misura fissa solo in caso d’uso”.

In ogni caso, la Cassazione ricorda comunque che se, indipendentemente dal nomen iuris adoperato di ricognizione di debito, dovesse riconoscersi alla dichiarazione un effetto modificativo di una situazione giuridica obbligatoria preesistente, che assuma rilevanza patrimoniale, tornerà applicabile l’art. 3, parte I della Tariffa, con obbligo di registrazione in termine fisso, da assoggettare ad imposta proporzionale secondo l’aliquota dell’1 per cento, da applicare al valore del bene o del diritto oggetto dell’atto dichiarativo.

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