Per il riconoscimento della società di fatto non è sufficiente una mera presunzione

Emiliano Marvulli - Imposte

Per il riconoscimento della società di fatto non è sufficiente una mera presunzione. La sua esistenza, nel rapporto tra i soci, implica la dimostrazione di un patto sociale in aggiunta ai suoi elementi costitutivi. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la Sentenza numero 19234 del 15 settembre 2020.

Per il riconoscimento della società di fatto non è sufficiente una mera presunzione

L’esistenza di una società di fatto, nel rapporto tra i soci, implica la dimostrazione di un patto sociale in aggiunta ai suoi elementi costitutivi, ossia fondo comune, esercizio comune dell’attività economica, vincolo di collaborazione e ripartizione di guadagni e perdite.

L’esistenza della stessa non può essere desunta, quindi, dalla semplice esternazione della società né da atti che possano considerarsi insufficienti ad evidenziare l’esistenza degli elementi costitutivi sopra menzionati.

Corte di Cassazione - Sentenza numero 19234 del 15 settembre 2020
Per il riconoscimento della società di fatto non è sufficiente una mera presunzione. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la Sentenza numero 19234 del 15 settembre 2020.

È questo il contenuto della Sentenza della Corte di Cassazione n. 19234 del 15 settembre 2020.

La sentenza – Il caso riguarda l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria, sulla base delle risultanze di un pvc redatto dalla Guardia di finanza che aveva riscontrato l’esistenza di una società di fatto, aveva disposto la ripresa a tassazione sulla base dei maggiori redditi derivanti dalla partecipazione ad una società di fatto.

La controversia è giunta dinanzi alla CTR la quale, nel respingere i motivi d’appello proposti dall’Agenzia delle entrate, aveva dedotto che l’assunto circa l’esistenza di una società di fatto tra i soggetti interessati si traeva esclusivamente dalle dichiarazioni di uno di questi, non confermate neanche dai risultati delle indagini finanziarie attivate dall’Ufficio.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2247 e 2967 c.c. nella parte in cui la CTR non si sarebbe conformata ai principi statuiti dalla Corte di Cassazione, invocando che l’accertamento del vincolo societario riposi non sulla mera apparenza del vincolo, ma sulla prova della gestione societaria.

Anche la Corte di cassazione ha respinto la tesi dell’Amministrazione finanziaria rigettando in via definitiva il ricorso.

È opportuno ricordare che l’art. 2247 c.c., richiamato nel procedimento, stabilisce che ai fini dell’esistenza del contratto societario è richiesto il concorso necessario dell’elemento rappresentato dal conferimento di beni o servizi finalizzato alla formazione di un fondo comune e di quello della comune volontà dei contraenti di costituire un vincolo e collaborare per il conseguimento di risultati patrimoniali comuni.

Intervenendo sul tema, gli ermellini hanno affermato il principio per cui l’esistenza di una società di fatto, nel rapporto fra i soci, “postula la dimostrazione, eventualmente anche con prove orali o presunzioni, del patto sociale e dei suoi elementi costitutivi (fondo comune, esercizio in comune di attività economica, ripartizione dei guadagni e delle perdite, vincolo di collaborazione in vista di detta attività) e, pertanto, non può essere desunta dalla mera esternazione della società, che è rilevante solo nel rapporto con i terzi, a tutela del loro affidamento, né da atti di per sé insufficienti ad evidenziare tutti i suddetti elementi costitutivi”.

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