In caso di sentenza favorevole obbligata al rimborso è l’Agenzia delle Entrate e non l’agente della riscossione

L'Agenzia delle Entrate, e non l’agente della riscossione, dovrà procedere al rimborso nei confronti del contribuente che ha ottenuto l'adempimento in seguito ad una sentenza favorevole. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 8500 del 24 marzo 2023

In caso di sentenza favorevole obbligata al rimborso è l'Agenzia delle Entrate e non l'agente della riscossione

Con l’Ordinanza n. 8500 del 24 marzo 2023 la Corte di Cassazione ha stabilito che, in sede di ottemperanza, che consente al contribuente di ottenere l’adempimento da parte dell’amministrazione finanziaria delle proprie ragioni a seguito di una sentenza del giudice tributario a lui favorevole, la legittimazione passiva rimane in capo all’ente impositore e non al concessionario della riscossione, seppur destinatario dei versamenti provvisori operati dal contribuente.

In caso di sentenza favorevole obbligata al rimborso è l’Agenzia delle Entrate e non l’agente della riscossione

Nella vicenda processuale che ci occupa, l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso in cassazione avverso la sentenza della CTR, che aveva accolto il ricorso della società avverso il diniego tacito sull’istanza di rimborso ex art. 68 del decreto legislativo n. 546/1992.

A parere dei giudici di appello, l’art. 68, comma 2, del decreto legislativo comportava la nascita di un’obbligazione ex lege da indebito, da ritenersi completamente nuova ed autonoma rispetto al precedente versamento provvisorio fatto dalla contribuente.

Per tale ragione, non poteva esser accolta la tesi dell’ufficio finanziario appellante, secondo cui il rimborso doveva essere eseguito da Equitalia per il solo fatto che i versamenti provvisori furono dalla contribuente fatti alla concessionaria per la riscossione.

La CTR riteneva, infatti, che la ripartizione di competenze fra Equitalia Sud e l’Agenzia delle Entrate riguardava unicamente i rapporti interni fra le due istituzioni e che spettava all’ente, che si riteneva incompetente, attivare l’ente ritenuto competente, affinché provvedesse sulle richieste di autotutela in genere (e quindi anche di rimborso) del contribuente.

Secondo la tesi dell’Agenzia delle entrate, invece, l’assunto dei giudici di secondo grado, secondo cui ad essere obbligata al rimborso è sempre l’amministrazione finanziaria e non la concessionaria per la riscossione, è erroneo.

Ciò in quanto l’art. 26 del DLgs. n. 112/1999, dispone che:

“se le somme iscritte a ruolo, pagate dal debitore, sono riconosciute indebite, l’ente creditore incarica dell’effettuazione del rimborso il concessionario, che, entro trenta giorni dal ricevimento di tale incarico, invia apposita comunicazione all’avente diritto, invitandolo a presentarsi presso i propri sportelli per ritirare il rimborso ovvero ad indicare che intende riceverlo mediante bonifico in conto corrente bancario o postale.”

Il sistema, dunque, prevede che quando una cartella di pagamento è stata dichiarata illegittima da una Commissione tributaria, il contribuente ha diritto a ottenere lo sgravio dall’ente entro 90 giorni dalla notifica della decisione.

Contestualmente allo sgravio, l’ufficio deve disporre anche il rimborso delle somme iscritte a ruolo eventualmente pagate dal contribuente prima della decisione; in base al citato articolo 26, il rimborso viene erogato presso l’Agente della riscossione.

Per poter adire il giudice tributario il rimborso deve essere prima sollecitato in sede amministrativa

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo di doglianza proposto dall’Agenzia delle entrate.

Secondo i giudici di legittimità, in materia di processo tributario, posto che il DLgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 2, prevede il rimborso d’ufficio del tributo corrisposto in eccedenza entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza che ha accolto il ricorso del contribuente, quest’ultimo, qualora non riceva detto rimborso, non può adire direttamente il giudice tributario, ma deve prima sollecitare detto rimborso in sede amministrativa, e solo successivamente può impugnare il diniego, anche tacito, ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. g) del citato decreto.

Nel caso di specie, la società contribuente, deducendo di avere diritto al rimborso d’ufficio delle somme già versate e riconosciute come non dovute da sentenza definitiva emessa in suo favore, decorsi i novanta giorni ha chiesto il rimborso all’ufficio ed impugnato il diniego tacito.

Pertanto appare evidente la legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate in ordine all’impugnativa del diniego tacito di rimborso, come ritenuto dal giudice di prima istanza e confermato dal giudice di seconde cure, che ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate.

La stessa CTR ha rilevato che l’Agenzia delle Entrate, pur riconoscendo il diritto della contribuente al rimborso, aveva solo dichiarato, ma non aveva documentato, di aver trasmesso il provvedimento di sgravio ad Equitalia, presso la quale la società non aveva trovato alcun rimborso ex art. 68, co. 2, DLgs. n. 546/1992.

Da qui il rigetto del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate.

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