Le responsabilità penali e tributarie in capo all'amministratore di diritto e all'amministratore di fatto: le considerazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, Sez. Penale, con la Sentenza n. 24929 del 2023, ha espresso rilevanti considerazioni in tema di responsabilità penal-tributarie dell’amministratore di diritto e di fatto.
Nel caso di specie, il Tribunale, all’esito di giudizio abbreviato, aveva ritenuto provata la responsabilità penale dell’imputato per il reato di cui all’art. 5 del Dlgs. n. 74 del 2000, perché, quale legale rappresentante di una società poi cessata, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non aveva presentato, essendovi obbligato, le dichiarazioni relative a dette imposte.
Responsabilità penali dell’amministratore di diritto e di fatto: il caso di specie
L’imputato veniva condannato e con lo stesso provvedimento veniva anche disposta la confisca delle somme di denaro esistenti sui conti correnti, nonché depositi titoli e altre disponibilità finanziarie della società sino a concorrenza dell’importo dovuto, ovvero, in subordine, ove non rinvenute anche parzialmente, la confisca delle somme di denaro esistenti sui conti correnti, nonché depositi titoli e altre disponibilità finanziarie dell’imputato, ovvero, in ulteriore subordine, ove non rinvenute le somme, la confisca per equivalente dei beni mobili registrati, dei cespiti immobiliari, di altri diritti reali economicamente valutabili, o di qualsiasi altra utilità nella disponibilità o comunque riconducibili all’imputato.
La Corte di appello riformava poi parzialmente la sentenza del Tribunale, revocando la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e confermando nel resto, integralmente, il provvedimento.
Avverso tale sentenza l’imputato proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, che la Corte di appello aveva inspiegabilmente sostenuto che non vi fosse la prova certa che la società fosse rimessa interamente all’amministratore di fatto, ritenendo invece l’esistenza, da parte sua, solo di meri sporadici atti di gestione.
Tale prospettiva, però, secondo il ricorrente, sarebbe stata in contrasto con le prove prodotte dalla difesa, le quali dimostravano come l’asserito amministratore di fatto interloquisse direttamente con i clienti, utilizzasse l’automobile presa a noleggio dalla società ed avesse firmato il verbale del di restituzione a seguito dello sfratto dell’immobile locato dalla società.
Dunque, secondo l’imputato (si ricorda rappresentante legale della società) appariva evidente che il detto soggetto si era comportato ed era identificato da chi interloquiva con la società quale gestore e amministratore della stessa.
Mancava pertanto l’elemento soggettivo del dolo specifico a carico del ricorrente, il quale non avrebbe potuto avere contezza delle fatture emesse e del mancato pagamento dell’IVA da parte di chi gestiva la società, non occupandosi, in realtà, della stessa.
In definitiva, l’imputato sosteneva di essere una mera testa di legno, per tale motivo non perseguibile.
Responsabilità penali dell’amministratore di diritto e di fatto: l’opinione della Cassazione
Secondo la Suprema Corte il ricorso sul punto era infondato e la Corte di appello aveva in realtà fornito una motivazione perfettamente logica e coerente, dimostrando di avere fatto corretto uso del principio di diritto secondo cui l’amministratore di fatto risponde, quale autore principale, del reato di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette o dell’IVA, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di potere compiere l’azione dovuta.
Mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile comunque, a titolo di concorso, per omesso impedimento dell’evento, a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice (ex multis, Cass., n. 20050/2022; Cass., n. 8632/2020; Cass., n. 38780/2015).
In tal senso, nella specie, il giudice di secondo grado non aveva mancato di evidenziare come non vi fosse la prova certa che la gestione societaria fosse rimessa interamente all’asserito amministratore di fatto, con esclusione dell’imputato, non consentendo gli sporadici atti di gestione riconducibili al primo nell’arco dei quattro anni in cui l’imputato era stato socio unico e legale rappresentante della società, per ciò stesso, una tale esclusione.
Inoltre, rilevano i giudici di legittimità, anche sposando la tesi difensiva secondo cui l’imputato sarebbe stato un mero prestanome dell’amministratore di fatto, comunque ciò non privava di rilievo la circostanza che il ricorrente, con una certa esperienza imprenditoriale alle spalle, era perfettamente consapevole del fatto che la società da lui amministrata non presentava le dovute dichiarazioni annuali per le imposte; e ciò, peraltro, proprio in coincidenza con il suo avvento all’interno della compagine sociale, essendo state invece presentate le dichiarazioni fiscali obbligatorie per gli anni precedenti.
Era pertanto impossibile che lo stesso non fosse a conoscenza dell’omessa presentazione da parte della società della dovuta dichiarazione, anche considerato che il relativo obbligo gravava su di lui e, a fortiori, considerando il fatto che la società, al momento del suo ingresso in qualità di amministratore di diritto e titolare della totalità del capitale sociale, versava in una gravissima situazione finanziaria ed economica, ma aveva comunque continuato ad operare per altri tre anni, gestendo un enorme giro di denaro, investendo nei rapporti con società cartiere ed emettendo fatture per operazioni inesistenti, pur in assenza di dipendenti.
Tutti segnali macroscopici ed inequivocabili di affari illeciti, che non potevano essere certo ignorati da chi rivestiva il ruolo di legale rappresentante.
La giurisprudenza sulle responsabilità penali dell’amministratore di fatto e di diritto
Tanto premesso, a prescindere dallo specifico caso processuale, in linea generale, si evidenzia che incombe comunque sull’amministratore di diritto l’onere della regolare tenuta delle scritture e del pagamento delle imposte.
La giurisprudenza della Cassazione ha sempre sostenuto, seppur con le debite differenze nelle varie tipologie di reati economici e tributari, che l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire, essendo sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo ponga in essere condotte illecite.
Tale consapevolezza, in ogni caso, non può dedursi dal solo fatto che il soggetto abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministratore, essendo necessari, da una parte, “segnali di allarme” dai quali desumere l’accettazione del rischio, secondo i criteri propri del dolo eventuale, del verificarsi dell’evento illecito, e, dall’altra, la volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento.
La stessa giurisprudenza ha poi precisato che, allorché si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico), o l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale), possono comunque risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilità penale (cfr., Cass., n. 7332 del 18/02/2015).
Questi principi trovano del resto applicazione solo nell’ipotesi di violazione dei doveri propri dell’amministratore in merito alla vigilanza in ordine ai criteri di gestione e di economicità dell’impresa e al regolare assolvimento degli obblighi di contabilità e non consentono invece l’estensione di responsabilità dell’amministratore di diritto anche a tutti gli altri reati eventualmente consumati all’interno di compagini sociali o mediante le stesse.
In sostanza, le considerazioni riferite ad ipotesi di reati tributari, per i quali, come detto, incombe sull’amministratore di diritto l’onere della regolare tenuta delle scritture e del pagamento delle imposte, non possono essere automaticamente estese alla posizione dell’amministratore di diritto a fronte, ad esempio, di condotte di riciclaggio e autoriciclaggio compiute dei gestori di fatto delle stesse società, laddove le condotte di sostituzione dei proventi illeciti punite dalla fattispecie di riciclaggio e autoriciclaggio costituiscono un quid pluris rispetto alle “semplici” attività di evasione fiscale e richiedono pertanto la prova, sotto il profilo soggettivo, di un concorso, quantomeno morale, da parte dell’amministratore di diritto e cioè la coscienza e volontà che la società verrà utilizzata anche per il compimento di tali attività, non bastando una generica consapevolezza della destinazione della struttura ad attività di elusione fiscale.
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