L’impugnabilità consegue al fatto che si tratta di atti incidenti su un rapporto tributario impositivo: questi sono i presupposti individuati dall'orientamento giurisprudenziale. Con la sentenza n. 20051 del 2023 la Corte di Cassazione si è soffermata sul tema
La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 20051 del 2023, si è espressa in tema di presupposti di impugnabilità degli atti nel processo tributario.
Nel caso di specie, il contribuente aveva proposto ricorso avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate alla richiesta di rimborso di credito IVA relativo all’anno 2003.
Presupposti di impugnabilità degli atti tributari: il caso di specie
La Commissione Tributaria Regionale, nel respingere l’appello della contribuente, aveva dichiarato inammissibile il ricorso, evidenziando che, in riferimento alla originaria istanza di rimborso, l’Ufficio aveva già comunicato, ai sensi del Dpr. n. 633/72, art. 38 bis, la sospensione “per verifica dei presupposti”.
Tale atto, secondo la Commissione Tributaria Regionale, aveva, per il suo contenuto, chiara natura provvedimentale e rientrava dunque tra gli atti autonomamente impugnabili.
Pertanto, una seconda istanza di rimborso era improponibile, anche laddove la si fosse qualificata come richiesta di autotutela finalizzata a rimuovere il precedente provvedimento di sospensione.
La società ricorreva infine per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, che la comunicazione della sospensione del rimborso, genericamente motivata da parte dell’Ufficio, come da prassi, per “verifica dei presupposti”, era un atto meramente interlocutorio e non autonomamente impugnabile, in quanto privo di portata provvedimentale.
La comunicazione di sospensione non era del resto, a suo avviso, autonomamente impugnabile anche perché non risultava riconducibile a nessuna norma di riferimento: né al Dlgs. 472/97, art. 23, né al RD n. 2440 del 1923, art. 69 e, sostanzialmente, neppure al Dpr. n. 633/72, art. 38 bis, in quanto, il richiamo a tale ultima disposizione era del tutto formale e risultava per lo più afferente all’iter procedurale previsto per l’istruttoria preventiva all’esecuzione dei rimborsi richiesti direttamente con modulo VR.
La comunicazione di sospensione, secondo la ricorrente, non conteneva inoltre alcuna manifestazione di una volontà decisoria, non avendo l’Ufficio emesso alcun provvedimento, né di diniego, né di accoglimento.
Secondo la Suprema Corte la censura era infondata.
Presupposti di impugnabilità degli atti tributari: l’opinione della Corte di Cassazione
Evidenziano i giudici di legittimità che, sulla premessa che l’elenco degli atti autonomamente impugnabili, contenuto nel Dlgs. n. 546/92, art. 19, è suscettibile di essere integrato con la indicazione di ulteriori atti emessi dalla Amministrazione finanziaria, espressamente considerati tali da specifiche norme di legge, la Cassazione ha già precisato che la tassatività dell’elenco deve intendersi riferita non a singoli provvedimenti nominativamente individuati, ma alla individuazione di “categorie” di atti, considerate in relazione agli effetti giuridici prodotti (tra cui predomina la categoria degli atti di natura impositiva), con la conseguenza che non è impedito all’interprete, mediante la qualificazione giuridica dell’atto in concreto impugnato, da compiere in relazione agli elementi funzionali ed agli effetti prodotti, di ricondurre ad una delle predette categorie anche atti “atipici”, od individuati con “nomen juris” diversi da quelli indicati nell’elenco.
È stato pertanto precisato che debbono qualificarsi come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi del Dlgs. n. 546/72, art. 19, tutti quegli atti con cui l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente una “pretesa tributaria”, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione”, o “avviso di pagamento” (cfr. Cass. n. 12194/2018).
Ne consegue che sono impugnabili tutti gli atti emessi dalla Amministrazione finanziaria, astrattamente suscettibili a fondare l’interesse alla impugnazione, ex art. 100 cpc, del contribuente, trovando in tali casi giustificazione l’applicazione dei criteri di interpretazione “estensiva” ed analogica delle categorie di atti contenute nell’elenco sia per la esigenza di certezza dei rapporti tributari (che richiede una immediata definizione delle potenziali controversie), sia per la tutela dei principi costituzionali di buon andamento della P.A. ed effettività del diritto di difesa del cittadino (artt. 97 e 24 della Costituzione - cfr. Cass. n. 4513/2009; Cass. n. 7344/2012; Cass. n. 24916/2013).
Tanto premesso, conclude la Corte, anche la comunicazione della sospensione di un rimborso IVA in vista di una sua compensazione, differendone in concreto l’esecuzione, è da considerarsi un atto autonomamente impugnabile, atteso che la “formale” pretesa tributaria, perché possa costituire oggetto di impugnazione, può estrinsecarsi in una manifestazione di volontà dell’Ufficio sia “pretensiva” (di un maggiore tributo) che “oppositiva” (al diritto alla restituzione di un tributo riscosso o al riconoscimento del diritto alla esenzione o all’applicazione del minore tributo), comunque idonea ad incidere negativamente nella sfera patrimoniale del contribuente (cfr. Cass. n. 5723/2016 e Cass. n. 13548/2015).
In ogni caso, poi, aggiunge la Cassazione, il provvedimento di sospensione del rimborso dei crediti d’imposta è andato ad integrare l’elenco tassativo di cui al Dlgs n. 546/92, art. 19, in virtù del combinato disposto dalla disposizione di rinvio di cui al comma 1, lett. i) del citato decreto legislativo e del Dlgs. n. 472/97, art. 23 (cfr. Cass. n. 13548/2015 e Cass. n. 19755/2013).
Dall’autonoma impugnabilità della comunicazione di sospensione del rimborso conseguiva quindi che, come correttamente affermato dai giudici di secondo grado, detto provvedimento doveva essere impugnato nel termine di sessanta giorni dalla ricezione.
A prescindere dallo specifico caso processuale, giova evidenziare che risulta ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale per cui, in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del Dlgs. 31 dicembre 1992 n. 546 non preclude che, anche in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la Legge 28 dicembre 2001 n. 448, siano considerati impugnabili anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche (cfr. Cass. n. 12150/2019; n. 1230/2020; n. 15318 del 2021; n. 5174 del 2023).
In altri termini, l’impugnabilità consegue al fatto che si tratta sempre di atti incidenti su un rapporto tributario impositivo, con un interesse attuale, concreto ed economicamente valutabile (art. 100 c.p.c.) del contribuente ad ottenere una diversa definizione del rapporto tributario.
Non si tratta, quindi, di attività di interpretazione analogica, di cui all’art. 12 disp. prel. c.c., vietata per le norme penali, tributarie e speciali dal successivo art. 14, bensì di interpretazione estensiva, pacificamente ammissibile.
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