L’occupazione cresce ma l’Italia è ancora indietro rispetto all’UE, giovani e donne i più penalizzati

Francesco Rodorigo - Leggi e prassi

In Italia ci sono più persone che lavorano ma il tasso di occupazione resta il più basso in Europa. Ad essere più penalizzati sono soprattutto i giovani e le donne

L'occupazione cresce ma l'Italia è ancora indietro rispetto all'UE, giovani e donne i più penalizzati

In Italia l’occupazione cresce ma il Paese resta il fanalino di coda dell’UE, soprattutto per quanto riguarda giovani e donne.

Il ristagno della produttività inoltre frena il benessere economico e spesso i redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato.

A delineare il quadro della situazione è il rapporto annuale dell’Istat presentato questa mattina alla Camera dal Presidente Francesco Maria Chelli.

Nonostante la crescita dell’occupazione dal 2020, l’Italia registra il tasso di occupazione più basso all’interno dell’Unione Europea. Nel 2024 è stato pari al 62,2 per cento tra i 15 e i 64 anni, con un divario di oltre 15 punti percentuali con la Germania e di quasi 7 con la Francia.

L’occupazione cresce ma l’Italia è ancora indietro rispetto all’UE, giovani e donne i più penalizzati

Il rapporto annuale dell’Istat, presentato questa mattina alla Camera dal presidente Francesco Maria Chelli, fornisce un puntuale resoconto della situazione del Paese dal punto di vista economico e demografico.

Una situazione che nel complesso appare in leggero miglioramento, soprattutto dal punto di vista della crescita economica e dei saldi di finanza pubblica, anche se i punti di criticità restano molti.

Per quanto riguarda il capitolo dell’occupazione, nel 2024 gli occupati raggiungono i 23,9 milioni. Aumentano dell’1,5 per cento ma è una crescita più contenuta rispetto al 2023.

Nel 2024 il tasso di occupazione si attesta al 62,2 per cento (63 per cento a marzo 2025), con un aumento dei dipendenti a tempo indeterminato, anche per effetto delle diverse misure agevolative introdotte nel corso degli anni.

Nonostante la crescita dell’occupazione dal 2020, però, l’Italia fa registrare il tasso di occupazione più basso dell’UE, “problemi strutturali limitano produttività, crescita e diffusione dell’innovazione” si legge nel rapporto.

Nella fascia di età 15-64 anni, il tasso di occupazione fa registrare un divario di oltre 15 punti percentuali con la Germania e quasi sette con la Francia. Il divario è più ampio tra i giovani di 15-24 anni: 19,7 per cento, a -31,3 punti dalla Germania.

Nel confronto con gli altri principali paesi dell’UE, dunque, l’Italia presenta un notevole scarto occupazionale, legato soprattutto alla minore partecipazione al mercato del lavoro dei giovani e delle donne, in particolare nel Mezzogiorno. La crescita maggiore infatti si ha dai 45 anni in su e tra i laureati, a discapito quindi dei più giovani.

L’Italia è il secondo Paese UE dopo la Romania per numero di NEET, cioè giovani tra 15 e 29 anni che non risultano inseriti in percorsi scolastici o formativi né sono impegnati in attività lavorativa.

Il tasso di NEET è al 15,2 per cento, con un’incidenza che nel Mezzogiorno raggiunge il 23,3 per cento (9,8 nel Nord e 12,9 al Centro).

Ma non va tanto meglio per i giovani diplomati e laureati, che risultano comunque in crescita. Nella fascia tra i 20 e i 34 anni il gap con l’Unione Europea è molto marcato: nel 2023 i tassi di occupazione per neodiplomati e neolaureati (rispettivamente 59,7 e 75,4 per cento) sono inferiori alla media UE di oltre 18 punti i primi e oltre 12 i secondi. I relativi tassi di disoccupazione (24,3 e 13,3 per cento) sono almeno doppi rispetto a quelli medi europei.

L’aumento nel numero di occupati inoltre, come detto, riguarda principalmente i soli laureati (+3,7 per cento) e i diplomati (+2,2 per cento). Nonostante la crescita, continua ad ampliarsi la già elevata distanza tra il tasso di occupazione dei più istruiti (82,2 per cento) e quello dei meno istruiti (45,1 per cento).

Laureati che spesso si spostano all’estero per trovare condizioni migliori. Negli ultimi dieci anni, ha spiegato Chelli, c’è stata una perdita netta di 97.000 laureati, “21.000 nel 2023, un record storico” mentre i rientri sono pochi.

Le retribuzioni crescono ma il potere d’acquisto fatica

Dal 2000 al 2024, si legge ancora nel rapporto Istat, la crescita lenta e la stagnazione della produttività limitano le opportunità, soprattutto per le generazioni più giovani.

L’aumento delle retribuzioni nominali nel biennio 2021-2022 non ha tenuto il passo con l’inflazione, e solo nei successivi due anni ha iniziato a recuperare anche in termini reali: rispetto a gennaio 2019, la perdita di potere di acquisto per dipendente a fine 2022 era superiore al 15 per cento e a marzo 2025 è pari al 10 per cento.

“Dal secondo semestre del 2021, invece, l’impennata dei prezzi dei beni energetici ha portato l’inflazione su livelli che non si osservavano dagli anni Ottanta del secolo scorso (fino al 12,6 per cento a ottobre-novembre 2022), e la dinamica delle retribuzioni ha tardato ad adeguarsi al mutato e inatteso scenario di inflazione elevata.”

Nel confronto con le principali economie europee, dal 2019 al 2024 si rileva in Italia una perdita di potere di acquisto delle retribuzioni nominali per dipendente pari al 4,4 per cento, rispetto al 2,6 per cento in Francia e all’1,3 per cento in Germania.

Nel 2023 la povertà assoluta ha coinvolto l’8,4 per cento delle famiglie, in particolare quelle con figli, giovani, stranieri e residenti nel Mezzogiorno.

La vulnerabilità economica però si sta diffondendo anche tra chi lavora, con l’aumento delle persone occupate ma i cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato.

Sempre in relazione al 2023, il 21 per cento degli occupati risulta a basso reddito. Una condizione che risulta ancora più frequente tra le donne (26,6 per cento), i giovani con meno di 35 anni (29,5 per cento) e i cittadini stranieri (35,2 per cento). Situazione che, inoltre, colpisce più spesso gli autonomi (28,9 per cento) e i dipendenti con un contratto a termine (46,6 per cento), quindi più precari.

Tutti i dettagli nel rapporto Istat disponibile di seguito.

Rapporto Istat 2025
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