Margini e requisiti di decommercializzazione per gli ETS

Cristina Cherubini - Associazioni

Gli enti del terzo settore disciplinati dal d.lgs 117/2017 svolgono per natura attività definite di interesse generale e attività diverse ad esse correlate che il legislatore considera come non commerciali, a patto che gli enti rispettino determinati requisiti.

Margini e requisiti di decommercializzazione per gli ETS

L’attività svolta da un ente del terzo settore ha un’importanza estremamente peculiare, in quanto dalle caratteristiche che essa assume deriva la soddisfazione dell’obiettivo prefissato dall’ente al momento della sua costituzione e il raggiungimento dello scopo solidaristico tipico del mondo no profit.

Il legislatore ha previsto diversi limiti all’esercizio delle attività degli ETS, come ad esempio quelli necessari alla suddivisione tra attività di interesse generale e attività diverse, connesse e strumentali alle prime.

L’art. 5 del d.lgs 117/2017 disciplina le attività di interesse generale che gli ETS possono svolgere e tipicamente definite come non commerciali dal legislatore al rispetto dei limiti imposti e delineati al comma 2 dell’art. 79, in altri termini lo svolgimento di attività di interesse generale è considerabile di natura non commerciale se effettuato “a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici degli enti di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento”.

Vi sono però altri requisiti e limiti dimensionali da rispettare nel caso in cui tali attività vengano esercitate dietro corrispettivi specifici, che analizzeremo di seguito.

Requisiti per la decommercializzazione delle attività

La determinazione della natura dell’attività esercitata da un ente del terzo settore dipende, a fronte delle modifiche apportate dal legislatore attraverso il d.lgs 117/2017, da due fattori:

  • la remunerazione dell’attività esercitata e l’eventuale margine che ne consegue;
  • la natura del soggetto che svolge direttamente l’attività oggetto di analisi.

L’art. 79 del d.lgs 117/2017 al comma 2 prevede infatti che “le attività di interesse generale, incluse quelle accreditate o contrattualizzate o convenzionate con le amministrazioni pubbliche, amministrazioni pubbliche straniere o altri organismi pubblici di diritto internazionale, si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici degli enti di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento”.

Le attività di interesse generale sopra citate sono quelle comprese dall’art. 5 comma 1 del d.lgs 117/2017 lett. a) fino alla z), le quali dovranno quindi essere esercitate a titolo gratuito o dietro corrispettivi che non siano superiori dei costi effettivi.

Secondo quanto previsto dal comma 4 dell’art. 79 del d. lgs 117/2017 non concorrono, in ogni caso, alla formazione del reddito degli enti del Terzo settore di cui al comma 5:

  • i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;
  • i contributi e gli apporti erogati da parte delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 per lo svolgimento, anche convenzionato o in regime di accreditamento di cui all’articolo 9, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, delle attività di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 79 del CTS;
  • le liberalità, le quote associative dell’ente e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti, ivi compresi i proventi e le entrate considerate non commerciali ai sensi dei commi 2, 3 e 4 tenuto conto altresì del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività svolte con modalità non commerciali.

“L’attività svolta dalle associazioni del Terzo settore nei confronti dei propri associati e dei familiari e conviventi degli stessi in conformità alle finalità istituzionali dell’ente non si considera commerciale, e non concorrono alla formazione del reddito delle associazioni del Terzo settore le somme versate dagli associati a titolo di quote o contributi associativi”.

Il legislatore sembra quindi escludere dal calcolo del reddito degli ETS i fondi provenienti da raccolte pubbliche ed i contributi erogati da amministrazioni pubbliche per lo svolgimento anche accreditato delle attività generali previste dall’art. 5 del d.lgs 117/2017, in particolare quella di ricerca scientifica.

L’art. 79 al comma 2-bis prevede inoltre un margine numerico al di sotto del quale gli enti del terzo settore devono sottostare al fine di non perdere la configurazione dell’attività esercitata come non commerciale.

Le attività di interesse generale comprese nell’art. 5 si possono considerare non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il 5 per cento i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi d’imposta consecutivi.

Gli ETS dovranno quindi analizzare l’equilibrio tra costi e ricavi derivante dall’esercizio dell’attività, e stare attenti che i ricavi non superino di oltre il 5 per cento i costi, di cui fanno parte quindi i corrispettivi derivanti dall’esercizio dell’attività generale prevista dallo statuto dell’ente stessa e richiamata dall’art. 5 del d.lgs 117/2017, tenendo conto nel calcolo anche di eventuali apporti ricevuti dalle amministrazioni pubbliche.

Nel caso in cui tale margine fosse oltrepassato non dovrà avvenire per due esercizi consecutivi, pena la perdita della qualifica di attività di natura non commerciale.

Perdita della qualifica non commerciale dell’ente

L’art. 79 del d.lgs 117/2017 al comma 5 recita inoltre che “si considerano non commerciali gli enti del Terzo settore che svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di cui all’articolo 5” in conformità ai criteri indicati precedentemente.

Da tale assunto è facile comprendere che la perdita della natura di non commercialità deriva da un esercizio in via non prevalente di una delle attività generali previste dall’art. 5 del d.lgs 117/2017 o dal mancato rispetto del margine economico previsto dalla normativa per l’equilibrio tra costi e ricavi.

Al comma 5 dell’art. 79 è specificato che “indipendentemente dalle previsioni statutarie gli enti del Terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività di cui all’articolo 5, svolte in forma d’impresa non in conformità ai criteri indicati (gratuità delle prestazioni o rispetto del margine), nonché le attività di cui all’articolo 6, fatta eccezione per le attività di sponsorizzazione svolte nel rispetto dei criteri di cui al decreto previsto all’articolo 6, superano, nel medesimo periodo d’imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali”.

Volendo riassumere i concetti sopra esposti è chiaro che le attività generali previste dall’art. 5 del d.lgs 117/2017 svolte dall’ente possono considerarsi non commerciali se svolte a titolo gratuito o nel caso in cui i corrispettivi non superino i costi effettivi, e si riesca a rispettare la percentuale del margine stabilito dal legislatore nel 5%, nel caso in cui non vengano onorati tali requisiti per due esercizi consecutivi quella stessa attività verrà considerata commerciale e quindi soggetta a tassazione, lo stesso ente inoltre potrebbe perdere la sua natura “non commerciale” nel caso in cui in un periodo d’imposta le entrate derivanti dall’esercizio di attività di interesse generale in forma di impresa, di attività diverse in forma di impresa o di attività di sponsorizzazione superino le entrate di natura non commerciale.

Si considerano, tuttavia, sempre attività di natura commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati e dei familiari e conviventi degli stessi verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto.

Tali corrispettivi concorreranno anche quindi alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità.

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