Licenziamento per motivi economici: per la reintegrazione non serve l’illegittimità manifesta

Francesco Rodorigo - Leggi e prassi

La Corte Costituzionale, tramite la sentenza n. 125 del 2022 ha stabilito che per reintegrare il lavoratore a seguito di un licenziamento per motivi economici non è necessario che l'illegittimità sia manifesta. Il requisito della chiara evidenza si presta a incertezza per l'applicazione e porta a disparità di trattamento.

Licenziamento per motivi economici: per la reintegrazione non serve l'illegittimità manifesta

Licenziamento per motivi economici, la reintegra del lavoratore deve essere prevista anche in caso di illegittimità non evidente.

L’insussistenza manifesta, inclusa dalla legge 92/2012, è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte, tramite la sentenza n. 125 del 2022.

Il giudice, ai fini della reintegrazione del lavoratore, non deve verificare l’evidente infondatezza del fatto che ha portato al licenziamento.

Il requisito in vigore finora comporta conseguenze importanti anche sugli stessi processi, aumentando gli oneri ed evidenziando uno squilibrio tra l’obiettivo prefissato e i mezzi per raggiungerlo.

Licenziamento per motivi economici: per la reintegrazione non serve l’illegittimità manifesta

Con la sentenza n. 125, depositata il 19 maggio 2022, la Corte Costituzionale ha stabilito che l’illegittimità del licenziamento per motivi economici non deve essere evidente.

La Corte ha dichiarato incostituzionale l’articolo 18, comma 7, della legge n. 300/1970, modificata dalla riforma Fornero, legge n. 92/2012, in relazione alla parola manifesta:

“Il giudice può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo;”

Per quanto riguarda l’obbligo di reintegro del lavoratore, dunque, il giudice non è tenuto a verificare che l’insussistenza del fatto, che ha determinato il licenziamento economico, sia manifesta.

Finora, in caso di licenziamento per motivi economici, produttivi o organizzativi, il lavoratore per essere reintegrato doveva dimostrare in maniera indisputabile l’illegittimità della decisione del datore di lavoro.

Questo requisito, spiega la Corte, a causa del suo carattere indeterminato rischia di portare a incertezze applicative e di conseguenza a disparità di trattamento. Infatti, è difficile distinguere tra la chiara evidenza del vizio e l’insussistenza pura e semplice del fatto.

Al giudice, quindi, viene richiesta una valutazione senza la possibilità di basarsi su linee guida precise e priva di fondamento empirico.

“La sussistenza di un fatto non si presta a controvertibili graduazioni in chiave di evidenza fenomenica, ma evoca piuttosto una alternativa netta, che l’accertamento del giudice è chiamato a sciogliere in termini positivi o negativi.”

Licenziamento per motivi economici: la manifesta insussistenza ha effetti negativi sul processo

La sentenza n. 125/2022 della Corte Costituzionale espone le ragioni che hanno portato alla censura della parola “manifesta” dall’articolo 18 della legge n. 300/1970. Per queste ragioni, in seguito al licenziamento per motivi economici non sarà necessario dimostrare l’evidente illegittimità del fatto alla base della decisione.

Il requisito della manifesta insussistenza del fatto, inoltre, nel richiedere un attributo indeterminato e per di più non legato al disvalore dell’illecito, si riflette sul processo, complicandone i passaggi e comportando oneri irragionevoli e sproporzionati.

Le parti e il giudice, infatti, sono impegnati nel già complesso accertamento della sussistenza o insussistenza del fatto e in più sono tenuti a verificare anche la graduazione più o meno marcata dell’eventuale infondatezza.

In questo modo, inoltre, vengono meno gli obiettivi della rapidità e della prevedibilità delle decisioni. Il requisito in questione quindi comporta anche uno squilibrio tra lo scopo che si prefissa e i mezzi scelti per raggiungerlo.

“Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge n. 92 del 2012, limitatamente alla parola «manifesta».”

La Corte Costituzionale dunque ha decretato l’incostituzionalità del requisito di manifesta insussistenza del fatto inseguito al licenziamento per motivi economici.

Corte Costituzionale - Sentenza n. 125 del 2022
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), promosso dal Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento instaurato da CFS Europe spa contro M. P., con ordinanza del 6 maggio 2021, iscritta al n. 97 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2021.

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