Lo schermo del fondo patrimoniale

Accertamento su fondo patrimoniale sotto la lente di ingrandimento della Corte di Cassazione: dal caso analizzato a una visione più ampia sul tema

Lo schermo del fondo patrimoniale

La Corte di Cassazione, con l’importante Ordinanza n. 35836/2022, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti in tema di fondo patrimoniale.

Nel caso di specie, il contribuente (insieme al coniuge), impugnava un avviso di iscrizione ipotecaria relativo ad un immobile conferito in fondo patrimoniale ex art. 167 c.c.

La Commissione Tributaria Provinciale dichiarava il ricorso inammissibile per tardività.

La Commissione Tributaria Regionale confermava poi la pronuncia impugnata.

Contro la sentenza di secondo grado veniva proposto ricorso per cassazione e la Corte accoglieva il ricorso con rinvio al giudice del merito, il quale, a seguito della riassunzione del processo, accoglieva il ricorso per riassunzione.

Avverso tale statuizione ricorreva infine per cassazione il concessionario, deducendo, per quanto di interesse, la violazione e falsa applicazione dell’art. 170 c.c., dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 77 del Dpr. n. 602 del 1973, per avere il giudice di secondo grado ritenuto, a suo avviso del tutto apoditticamente, che il bene non fosse aggredibile dal concessionario della riscossione, a cui aveva peraltro addossato un onere probatorio del quale non poteva esser gravato, anche erroneamente interpretando il concetto di obbligazione contratta per i bisogni della famiglia.

Con un secondo motivo di impugnazione, il ricorrente lamentava invece il vizio motivazionale della sentenza, dal quale derivava la nullità della stessa per violazione e falsa applicazione degli artt. 36, 53 e 61 del Dlgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c.p.c., per avere la CTR omesso di argomentare in ordine alla conoscenza, da parte del creditore, dell’estraneità del debito ai bisogni della famiglia.

Secondo la Suprema Corte il primo motivo di impugnazione era infondato.

Lo schermo del fondo patrimoniale sotto la lente di ingrandimento della Corte di Cassazione

I giudici di legittimità premettevano innanzitutto che il principio di inopponibilità del vincolo di destinazione sui beni del fondo per obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia si estende alle obbligazioni non derivanti da contratto, sempre che attengano ai bisogni della famiglia, posto che quelle aventi titolo non negoziale possono riguardare tali bisogni solo in quanto abbiano funzione restitutoria, compensativa o contributiva in relazione ad un atto o fatto che abbia incrementato le disponibilità economiche familiari, o abbia soddisfatto un’esigenza di vita della famiglia.

Le obbligazioni risarcitorie da illecito civile, così come quelle a titolo di sanzione pecuniaria di natura penale o amministrativa, incluse le sanzioni per violazioni di disposizioni tributarie, devono invece ritenersi estranee ai bisogni della famiglia, siccome volte a riparare la lesione di un interesse giuridicamente tutelato o a scontare una sanzione.

Infatti, solo nel caso di diretta relazione tra danno arrecato e vantaggio della famiglia il fondo potrebbe rispondere nei limiti del vantaggio.

Tanto premesso, la Corte rileva che nella specie tale relazione era inesistente, atteso che, a fronte delle sanzioni per le quali agiva il riscossore in danno del contribuente non corrispondeva alcun vantaggio per la famiglia e che l’obbligazione sanzionatoria, analogamente a quanto accade per quella risarcitoria, era comunque sorta per aver egli violato un interesse senza alcun collegamento con le esigenze del nucleo familiare (cfr., Cass. n. 11230/2003).

Alla luce di ciò, secondo la Cassazione, da un lato, appariva inattaccabile in sede di legittimità l’accertamento di fatto operato dal giudice di appello, secondo il quale si trattava di “un debito verso lo Stato totalmente estraneo ai bisogni della famiglia e relativo all’attività d’impresa” esercitata dal contribuente, laddove “le somme richieste dall’agente della riscossione nel caso di specie corrispondono a sanzioni di natura amministrativa quindi relative ad obbligazioni estranee ai bisogni della famiglia che rendono impignorabili i beni conferiti nel fondo patrimoniale”; e, dall’altro, era corretta la statuizione in diritto secondo la quale le pretese per sanzioni costituiscono debiti estranei ai bisogni della famiglia.

La decisione della Commissione Tributaria Regionale era quindi conforme ai principi dettati dalla Corte, secondo i quali

“in tema di riscossione coattiva, l’iscrizione ipotecaria di cui all’art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973 è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’art. 170 c.c., sicché è legittima solo se l’obbligazione tributaria (nella specie, per sanzioni amministrative per violazione del codice della strada e per omesso pagamento di tributi) sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità a tali bisogni, gravando in capo al debitore opponente l’onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell’obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa”

Nel caso in esame, la Commissione Tributaria Regionale aveva quindi correttamente posto a carico del contribuente la prova – non contestata – della regolare costituzione del fondo patrimoniale e della conseguente opponibilità al creditore procedente, nonché – altrettanto correttamente – aveva gravato il contribuente di dar prova della circostanza della estraneità del debito alle necessità familiari (cfr., Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4011 del 19/02/2013).

Il secondo motivo di ricorso, secondo la Corte, era invece fondato.

Evidenziano a tal proposito i giudici di legittimità che la Commissione Tributaria Regionale, effettivamente, non aveva esplicato le ragioni per le quali aveva ritenuto sussistente la consapevolezza del creditore circa l’estraneità del debito ai bisogni famigliari.

Come già affermato in precedenti della Corte (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5385 del 05/03/2013), l’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all’art. 77 del Dpr. n. 602 del 1973, conseguendone che l’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, qualora il debito sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero quando - nell’ipotesi contraria, che qui rilevava, il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia.

Viceversa, l’esattore non può iscrivere l’ipoteca nel caso in cui il creditore conoscesse tale estraneità.

Tanto premesso, nel caso in esame, poiché trattavasi di debiti contratti per uno scopo estraneo ai bisogni familiari, andava indagato se il creditore per il quale il riscossore agiva conoscesse o meno tale estraneità, laddove, come visto, nel caso in cui tale estraneità fosse stata nota, l’iscrizione andava dichiarata illegittima.

Rileva quindi la Cassazione che la CTR non poteva limitarsi a motivare in ordine all’esistenza dello scopo estraneo ai bisogni della famiglia in forza della quale il debito era stato contratto, ma doveva anche illustrare le ragioni di fatto in forza delle quali tale estraneità era nota in capo al creditore; il che è non era dato evincere in alcun passo dalla motivazione della pronuncia.

Sul punto della mancata conoscenza in capo al titolare del credito dell’estraneità del debito ai bisogni della famiglia, ricorda ancora la Corte (cfr., Cass., n. 23876 del 23/11/2015), la stessa non può comunque essere dimostrata, né esclusa, per il solo fatto dell’insorgenza del debito nell’esercizio dell’impresa.

Come già precisato (cfr., Cass., Ordinanza n. 29983 del 25/10/2021), la rispondenza o meno dell’atto ai bisogni della famiglia richiede infatti una verifica estesa al riscontro di compatibilità con le più ampie esigenze dirette al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo familiare, cosicché l’estraneità non può considerarsi desumibile soltanto dalla tipologia di atto in sé e per sé considerata.

La Commissione Tributaria Regionale, invece, aveva ritenuto sussistente sia l’estraneità ai bisogni della famiglia, sia – apoditticamente, oltre che automaticamente – la conoscenza di questa in capo al creditore, in tal modo mancando di esplicitare il fondamento logico-giuridico della propria decisione.

Alcune considerazione sulla costituzione del fondo patrimoniale

Al di là dello specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.

Non possono ritenersi estranei ai bisogni della famiglia i debiti inerenti l’attività di lavoro dei coniugi, ivi compresi quelli di natura fiscale e previdenziale, allorquando da tale attività la famiglia tragga i mezzi di mantenimento (cfr., Cass., n. 26652 del 18/10/2019).

E questo, in particolare, quando gli utili dell’attività imprenditoriale vengano destinati alle esigenze familiari.

Anche se i debiti derivassero dall’attività di impresa, quindi, non potrebbero essere considerati estranei laddove con la stessa attività il contribuente mantenga la famiglia.

In ogni caso, l’onere della prova sulla estraneità ai bisogni della famiglia grava sull’esecutato, che intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale.

Non bisogna del resto dimenticare che tale tipo di strumento viene a volte utilizzato anche per fini di sottrazione fraudolenta, ex art. 11 del Dlgs. n. 74/2000, norma con cui il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche.

L’art. 11 citato sanziona infatti chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000,00 Euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.

Attraverso l’incriminazione della condotta prevista dall’art. 11 del Dlgs. n. 74/2000, il legislatore ha quindi inteso evitare che il contribuente crei una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’Erario, laddove l’oggetto giuridico del reato non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai beni dell’obbligato (cfr., Cass., n. 41704 del 26/09/2018).

Il delitto è, in sostanza, un reato di pericolo concreto, potendo peraltro essere la diminuzione della garanzia anche solo parziale, purché effettivamente in grado di mettere a rischio l’esazione del credito, attraverso lo schermo formale di attività o documenti solo apparentemente regolari.

In conclusione, in caso di costituzione di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione va ricercato non già nella natura dell’obbligazione, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia.

La scelta dei coniugi di costituire un fondo patrimoniale rappresenta uno dei modi legittimi di attuazione dell’indirizzo economico familiare.

Viceversa, solo quando sia dimostrata l’idoneità della costituzione del fondo patrimoniale ad ostacolare il soddisfacimento dell’obbligazione tributaria tale strumento giuridico finisce per costituire uno dei vari mezzi di sottrazione del patrimonio alla garanzia di adempimento del debito contratto con il Fisco.

Quanto poi ai criteri cui tale accertamento deve conformarsi, come visto, sono ricompresi nei detti bisogni familiari, anche le esigenze volte al pieno mantenimento e sviluppo della famiglia, nonchè al potenziamento della sua capacità lavorativa, “con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi” (cfr Cass. n. 5684/06), laddove peraltro “anche operazioni meramente speculative possono essere ricondotte ai bisogni della famiglia, allorchè appaia certo, in punto di fatto, che esse siano state poste in essere al solo fine di impedire un danno sicuro al nucleo familiare (cfr Cass. n. 15862 del 7 luglio 2010).

In conclusione, l’istituto del fondo patrimoniale, che consiste, in sostanza, in un vincolo posto nell’interesse della famiglia su di un complesso di beni determinati (immobili, mobili registrati o titoli di credito) e realizza la costituzione di un patrimonio separato o destinato, finalizzato all’esclusivo soddisfacimento dei diritti di mantenimento, assistenza e contribuzione esistenti nell’ambito della famiglia, giustifica il divieto di esecuzione sui beni destinati al fondo (e sui relativi frutti).

La costituzione del fondo patrimoniale può essere comunque dichiarata inefficace, anche a mezzo di azione revocatoria ordinaria, laddove sussistano le condizioni (esistenza di un valido rapporto di credito, effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore di un atto traslativo, ricorrenza, in capo al debitore, ed eventualmente in capo al terzo, della consapevolezza che, con l’atto di disposizione, venga a diminuire la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori).

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