Autoriciclaggio e criptovalute

Autoriciclaggio e criptovalute sotto la lente di ingrandimento: un'analisi partendo dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 270124 del 2022 fino ad arrivare alle differenze con il concetto di riciclaggio.

Autoriciclaggio e criptovalute

La recente sentenza della Cassazione, Sez. penale, n. 27024/2022, ha trattato una fattispecie in tema di autoriciclaggio e criptovalute, da cui può essere interessante prendere spunto per ulteriori approfondimenti.

Nella specie, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame cautelare, aveva rigettato l’impugnazione proposta dall’imputato avverso l’ordinanza del Gip, applicativa della misura della custodia carceraria, in relazione ai reati di truffa, nonché del delitto di autoriciclaggio.

Autoriciclaggio e criptovalute: i fatti al centro della Sentenza della Cassazione numero 270124 del 2022

Rilevava il Tribunale che non era contestata la riferibilità all’indagato di tutte le truffe per le quali si procedeva, né l’integrazione ad opera di costui degli estremi del delitto di cui di cui all’art. 640 cod. pen. in ragione delle articolate condotte di frode realizzate, che avevano determinato plurime persone offese ad effettuare versamenti in suo favore nella prospettiva - del tutto inesistente ma artificiosamente delineata - di partecipare ad aste giudiziarie o a procedure esecutive, rispetto alle quali lo stesso imputato si presentava come preposto dall’autorità giudiziaria in qualità di legale.

Esaminando i motivi di riesame, il Tribunale ribadiva la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen. per le particolari condizioni (piattaforma on - line) che avevano favorito l’agente a discapito delle vittime, e ciò ai fini dell’applicazione della misura custodiale richiesta dal Pubblico Ministero.

Il Tribunale evidenziava poi i gravi indizi di colpevolezza in relazione all’ipotesi di autoriciclaggio, atteso il reinvestimento dei proventi illeciti in operazioni finanziarie (acquisto di valuta virtuale, bitcoin), oltre all’attualità e concretezza delle esigenze cautelari con conseguente pericolo di recidiva.

Avverso il provvedimento l’imputato proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, violazione di legge (artt. 648 ter 1 cod. pen. e 61 n.5 cod. pen., nonché 280 cod. proc. pen.) sotto un duplice profilo.

In primo luogo, secondo il ricorrente, l’acquisto di moneta virtuale con denaro di provenienza illecita ad opera dell’autore del reato presupposto non poteva configurare l’autoriciclaggio per difetto del requisito dell’impiego in attività speculativa, così come invece contestato nell’incolpazione, posto che non erano state poste in essere operazione con finalità di lucro, tese a conseguire cioè un guadagno in base alla differenza tra prezzi attuali e quelli futuri (l’acquisto di bitcoin non era diretto a speculare su oscillazioni di valore della moneta virtuale, peraltro da tempo costantemente in perdita).

Era inoltre a suo avviso carente il requisito della idoneità della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza illecita dei beni, secondo un criterio di idoneità ex ante, in quanto tutti gli acquisti erano stati fatti nella piattaforma digitale, con trasparenza di ogni transazione, laddove le vicende traslative riguardanti i bitcoin si trasformavano in blocco di una più grande catena (blockchain), con evidenza degli accounts degli utilizzatori, ed erano registrate su un libro contabile digitale (distribuited ledger), di dominio pubblico.

Da ultimo, rilevava ancora il ricorrente, al fine della configurazione della fattispecie criminosa in esame, la condotta doveva essere di ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa dei beni oggetto del reato presupposto e non alla identificazione del suo autore (l’intestatario della moneta virtuale), laddove l’account impegnato dall’indagato consentiva comunque di individuare gli specifici bitcoin acquistati.

Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.

La posizione della Corte di Cassazione su autoriciclaggio e criptovalute

Evidenziano i giudici di legittimità che l’analisi del Tribunale circa il riscontro dei requisiti dell’autoriciclaggio era stata rigorosa, puntuale ed apprezzabile nell’interpretazione della normativa di riferimento, correttamente applicata al caso in esame, di acquisto di moneta virtuale (bitcoin) con il denaro provento delle truffe.

Il ricorrente, come detto, sosteneva che le operazioni in questione non avevano la finalità speculativa indicata nel capo d’imputazione e che, in ogni caso, le regole del mercato di riferimento non consentivano di nascondere l’identità dell’acquirente, essendo incentrate su criteri di trasparenza.

Ma tali conclusioni, secondo la Corte, non erano corrette.

Il ricorrente aveva infatti provveduto a curare immediatamente il trasferimento di somme non appena accreditate - senza mai riscuoterle - attraverso disposizioni on line in favore di altro conto tedesco intestato alla piattaforma di scambio di bitcoin, per il successivo acquisto di valuta virtuale, il cui impiego finale risultava ancora imprecisato, ponendo così in essere un investimento dei profitti illeciti in operazioni di natura finanziaria, idonee a ostacolare la tracciabilità e la ricostruzione della origine delittuosa del denaro.

La moneta virtuale, secondo la condivisibile prospettazione del Tribunale, non poteva del resto essere esclusa dall’ambito degli strumenti finanziari e speculativi, ai fini di una corretta lettura dell’art. 648 ter.1 cod. pen.

E questo era l’aspetto con il quale maggiormente il ricorrente non si confrontava criticamente, dovendo essere ribaditi i seguenti punti:

  • l’indicazione normativa ex art. 648 ter.1 cod. pen. delle attività (economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative) in cui il denaro, profitto del reato presupposto, può essere impiegato o trasferito, lungi dal rappresentare un elenco formale delle attività suddette, appare piuttosto diretta ad individuare delle macro aree, tutte accomunate dalla caratteristica dell’impiego finalizzato al conseguimento di un utile, con conseguente inquinamento del circuito economico, nel quale, vengono immessi denaro o altre utilità provenienti da delitto e delle quali il reo vuole rendere non più riconoscibile la loro provenienza delittuosa (in termini, Cass. sez. 2, sent. n. 13795 del 29/03/2019);
  • possono essere ricondotte nell’ambito della dizione di “attività speculativa” (della quale il legislatore, non a caso, non offre rigida definizione) molteplici attività, e, in particolare, tutte quelle in cui il soggetto ricerca il raggiungimento di un utile, anche assumendosi il rischio di considerevoli perdite;
  • le valute virtuali possono essere utilizzate per scopi diversi dal pagamento e comprendere prodotti di riserva di valore a fini di risparmio ed investimento (sul punto, il parere della BCE, recepito nella V direttiva UE antiriciclaggio 2018/843);
  • come sottolineato in dottrina, la configurazione del sistema di acquisto di bitcoin si presta ad agevolare condotte illecite, in quanto - a differenza di quanto rappresentato dal ricorrente con il richiamo alle registrazioni sulla blockchain e sul distribuited ledger - è possibile garantire un alto grado di anonimato (sistema cd. permissionless), senza previsione di alcun controllo sull’ingresso di nuovi «nodi» e sulla provenienza del denaro convertito;
  • indubbiamente, con il decreto legislativo n. 90/2017 attuativo della IV Direttiva Antiriciclaggio, il legislatore italiano ha apportato sostanziali modifiche al Dlgs. 231/2007, a sua volta attuativo della Direttiva 2005/60/CE, anticipando le disposizioni della V Direttiva Antiriciclaggio in materia di criptovalute, valute virtuali e destinatari degli obblighi di prevenzione (normativa di carattere preventivo che si affianca alla disciplina penalistica di contrasto a riciclaggio e autoriciclaggio di cui agli artt. 648-bis e 648-ter.1 cod. pen.), senza tuttavia che nella fattispecie in esame risultasse che tale nuovo meccanismo di controllo avesse però consentito di evitare il reato contestato.

In definitiva, i gravi indizi di colpevolezza, correttamente esaminati, giustificavano l’adozione della misura adottata in riferimento ai reati contestati.

A prescindere dallo specifico caso processuale, sul tema, in generale, del collegamento tra autoriciclaggio e criptovalute giova evidenziare quanto segue.

Spesso, in caso di contestazioni come quella in esame, l’imputato contesta la circostanza che le transazioni operate tramite le criptovalute bitcoin possano effettivamente ritenersi anonime, laddove ogni movimentazione viene in realtà registrata in una sorta di “libro contabile digitale” di dominio pubblico , accessibile da chiunque, e dal quale, grazie alla tecnologia blockchain, sarebbe comunque possibile risalire agli accounts.

La Corte ha del resto però già evidenziato che le operazioni tramite criptovalute pongono un serio ostacolo alla identificazione del ricorrente come beneficiario finale delle transazioni, laddove, ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio, non occorre peraltro che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento alla identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza (cfr., Cass. 16908 del 05/03/2019; Cass. n. 36121 del 24/05/2019; Cass., n. 2868 del 25/01/2022).

Criptovalute e riciclaggio: alcune precisazioni sul tema

In conclusione, giova evidenziare che con il termine “antiriciclaggio” si intendono quell’insieme di misure volte alla prevenzione e contrasto delle fattispecie volte al riciclaggio di denaro derivante e/o destinato ad attività criminose, nonché di finanziamento del terrorismo.

Scatta il riciclaggio (articolo 648-bis del Codice penale) nei confronti di chi, fuori dei casi di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, o compie in relazione a essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa. Se detti beni e denari sono impiegati in attività economiche si commette poi il reato di analoga gravità previsto dall’articolo 648-ter.

Il riciclaggio (a differenza dell’autoriciclaggio) richiede dunque, necessariamente, il coinvolgimento di soggetti terzi estranei al delitto principale (da cui provengono i profitti), laddove la difficoltà da parte dell’accusa, spesso, risiede proprio nel provare la consapevolezza del terzo della provenienza delittuosa di tali beni/utilità.

L’autoriciclaggio (articolo 648-ter, n. 1, del Codice penale) risolve invece queste difficoltà di provare il consapevole coinvolgimento del terzo nella “ripulitura” delle somme illecite : è infatti lo stesso soggetto che ha commesso il delitto principale (da cui derivano i beni e le utilità) a trasferirle, investirle, impiegarle ecc.

Rispetto al riciclaggio, come visto, è richiesto comunque un ostacolo all’identificazione della provenienza non generico, ma concreto.

Quanto poi alla identificazione della concreta capacità dissimulatoria della condotta punibile a titolo di autoriciclaggio, le valutazioni debbono essere sempre orientate da un criterio di idoneità ex ante (cfr., Cass., n. 35260 del 23.09.2021).

Il Giudice deve cioè collocarsi al momento del compimento della condotta e verificare, sulla base degli elementi di fatto di cui dispone, se in quel momento l’attività posta in essere abbia un’idoneità dissimulatoria, e ciò indipendentemente dagli accertamenti successivi e dal disvelamento della condotta illecita.

Corte di Cassazione - Sentenza numero 27024 del 13 luglio 2022
Il testo integrale della Sentenza della Corte di Cassazione numero 27024 del 13 luglio 2022

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