Il raddoppio dei termini vale sia per il recupero delle imposte che delle sanzioni

Emiliano Marvulli - Imposte

Il raddoppio dei termini sia per il recupero delle imposte che delle sanzioni al centro dell'Ordinanza n. 23662 del 3 agosto 2023 della Corte di Cassazione: l'analisi di un caso pratico e della normativa di riferimento

Il raddoppio dei termini vale sia per il recupero delle imposte che delle sanzioni

Il raddoppio dei termini per violazioni penali opera, con la sola esclusione dell’IRAP, non solo per gli atti di recupero d’imposta ma anche per gli atti di contestazione di sanzioni, in ragione della disciplina transitoria che richiama l’applicazione dell’art. 2 del DLgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento e dei provvedimenti di irrogazione sanzioni già notificati, dimostrando un favor del legislatore per il raddoppio dei termini, se non incidente su diritti fondamentali del contribuente.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 23662 del 3 agosto 2023.

Raddoppio dei termini valido sia per il recupero delle imposte che delle sanzioni

La controversia ha preso le mosse dalle risultanze di una verifica fiscale condotta nei confronti di una società.

L’Agenzia delle entrate, nel contestare condotte fraudolente, con due avvisi d’accertamento ha recuperato le imposte nei confronti della società mentre, con separati atti di contestazione, ha comminato sanzioni ai fini IVA ed IRAP per i medesimi anni d’imposta nei confronti dei soci di fatto e del professionista esecutivo e responsabile in concorso delle violazioni.

A seguito del ricorso proposto avverso l’atto di constatazione la controversia è giunta dinanzi al giudice d’appello che, a conferma del giudizio di prime cure, ha accolto le ragioni del contribuente. Il giudice regionale ha ritenuto che il raddoppio dei termini non trovasse applicazione in riferimento all’IRAP.

Ha negato inoltre l’applicazione del raddoppio anche alle sanzioni inerenti all’IVA, per decadenza dal potere di contestazione, tenendo conto che la notifica dell’atto era intervenuta oltre il quinto anno successivo a quello in cui la condotta sanzionata risultava commessa, e disconoscendo il raddoppio dei termini anche per questa ipotesi.

L’Agenzia delle entrate ha impugnato la decisione di secondo grado, denunciando violazione e falsa applicazione dei termini di accertamento e contestazione delle violazioni, quanto alla declaratoria di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di irrogare sanzioni in materia di iva, per inapplicabilità del raddoppio dei termini, così come introdotto dall’art. 37 del DL 4 luglio 2006, n. 223, convertito in L. 4 agosto 2006, n. 248.

Il raddoppio dei termini: i chiarimenti della Corte di Cassazione

In buona sostanza, a parere dell’Amministrazione finanziaria, se le sanzioni sono state irrogate in riferimento a recuperi d’imposta per cui operi il raddoppio dei termini, va raddoppiato anche il termine per la contestazione ed irrogazione delle relative sanzioni.

Si premette che al caso di specie si applicano le disposizioni degli artt. 43 del DPR 600/1973 e 57 del DPR 633/1972, come integrati dall’art. 37, co. 24 del D.L. n. 223 del 2006 per cui, nel caso la violazione fiscale comporti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento raddoppiano relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.

Sono pertanto escluse dal caso de qua le modifiche introdotte al citato art. 43:

  • sia dall’art. 2, co. 1 e 2 del D.Lgs. n. 128 del 2015, che ha condizionato il raddoppio dei termini solo ai casi in cui la denuncia sia stata effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, che
  • dall’art. 1, co. 130, 131 e 132, della Legge n. 208 del 2015, che hanno eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari.

Dopo aver chiarito l’ambito applicativo, la Corte di cassazione ha chiarito che, ad esclusione dell’IRAP, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna.

Il principio è in linea con la sentenza della Corte Costituzionale n. 247/2011 in cui è ribadito che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, spettando al giudice di merito il compito di verificare che l’Amministrazione abbia applicato in maniera corretta le disposizioni denunciate.

La Corte di cassazione ha inoltre chiarito che il raddoppio dei termini afferisce tanto alle imposte quanto alle sanzioni, essendo proprio l’art. 2, co. 3 del DLgs. n. 128 del 2015, a richiamare espressamente la materia delle sanzioni, tra quelle per le quali si fa addirittura salva la pregressa disciplina, così come introdotta dal DL del 2006.

La Corte ha pertanto affermato che i termini previsti dall’art. 43 del DPR n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del DPR n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del DL n. 223 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva.

Alla luce dei predetti principi, il giudice regionale non ha tenuto debitamente conto della disciplina transitoria che richiama l’applicazione dell’art. 2 del DLgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento e dei provvedimenti di irrogazione sanzioni già notificati, “dimostrando un favor del legislatore per il raddoppio dei termini, se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112 Cost. (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33793)”.

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