Omessa dichiarazione: senza la fattura passiva l’IVA si considera evasa

Reati in materia di IVA: solo i costi effettivamente documentati dalle fatture passive rilevanti per il calcolo dell'imposta evasa e l'eventuale superamento delle soglie penali. Non sussiste l'obbligo per l'Ufficio di ricercare documenti presso le società emittenti

Omessa dichiarazione: senza la fattura passiva l'IVA si considera evasa

Ai fini della configurabilità dei reati in materia di IVA, la determinazione della base imponibile per il calcolo dell’imposta evasa e l’eventuale superamento delle soglie penali deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati dalle fatture passive rivenute nel corso del controllo fiscale, non sussistendo l’obbligo per l’Ufficio di ricercare i documenti presso le società emittenti.

Analizziamo oggi un caso pratico partendo dall’analisi di una datata ma sempre attuale pronuncia giurisprudenziale, ovvero l’ordinanza della Corte di Cassazione numero 9983/2022.

Soglie di punibilità evasione fiscale IVA

La Corte di Appello aveva condannato il legale rappresentante di una società per il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini IVA di cui all’art. 5 D. Lgs. n. 74 del 2000 per avere, al fine di evadere le imposte sui redditi e quelle sul valore aggiunto, omesso di presentare le dichiarazioni IRES e IVA per l’anno 2011.

Le soglie di punibilità previste dalla norma penale erano state superate in conseguenza alle risultanze di una verifica fiscale con cui l’Amministrazione finanziaria aveva accertato analiticamente l’imponibile e calcolato l’imposta evasa.

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di merito per violazione del cit. art. 5, contestando la decisione nella parte relativa alle modalità di calcolo dei costi considerati nella determinazione dell’ammontare delle imposte evase.

Infatti, secondo quanto dichiarato dal funzionario della Agenzia delle Entrate, nel corso della verifica fiscale erano stati riconosciuti solamente i costi risultanti dai partitari che avevano trovato riscontro nelle fatture passive acquisite nel corso della verifica.

I giudici penali hanno ritenuto infondato il motivo di ricorso e hanno deciso per il rigetto.

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Il controllo dell’IVA lato fatture passive

Al fine di comprendere meglio la decisione del Collegio di legittimità è opportuno precisare che nel corso della verifica i funzionari hanno proceduto alla determinazione del volume di affari della società riconoscendo i costi ai fini della determinazione della base imponibile rilevante, da un lato, ai fini IRES e, dall’altro, ai fini IVA.

In particolare, dal lato imposte dirette, sono stati considerati i costi rinvenuti in contabilità e i costi relativi al personale, desunti dai modelli 770 che erano stati presentati in qualità di sostituti d’imposta.

Dal lato IVA, invece, i verificatori hanno tenuto conto solo dei costi supportati da fatture passive.

In altre parole, la base imponibile IVA per la determinazione dell’imposta evasa, eccedente i limiti previsti dalla legge penale, dal lato dei componenti negativi teneva conto esclusivamente dei costi documentati da fatture passive, risultando esclusi quindi i costi relativi al personale posto che, in relazione a questi, non devono essere emesse fatture.

Diversamente da quanto eccepito dal ricorrente, tale procedimento è stato ritenuto corretto dai giudici di legittimità in quanto rispecchia appieno i criteri di determinazione della base imponibile.

Ai fini IVA, infatti, possono essere considerate solamente le somme desumibili dalle fatture passive rinvenute e il principio vale anche in termini di configurabilità dei reati in materia di IVA in cui la determinazione della base imponibile, e della relativa imposta evasa, deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati, non rilevando l’eventuale sussistenza di costi non documentati come invece può avvenire nelle ipotesi di reati concernenti le imposte dirette.

L’Amministrazione finanziaria, peraltro, non ha alcun obbligo di ricercare i documenti presso le società emittenti se gli stessi non sono conservati nella contabilità della società verificata.

Ritenendo legittime le modalità di calcolo dell’imposta evasa, di importo eccedente rispetto al limite previsto dalla legge, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’appello in relazione al reato di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000.

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