Verso la legge delega fiscale: IRPEF al centro della revisione

Da dove si parte per avviare il cantiere della legge delega fiscale e quali sono le possibili novità? Uno sguardo al cantiere della prossima riforma: osservata speciale è l'IRPEF

Verso la legge delega fiscale: IRPEF al centro della revisione

Nell’esaminare le prospettive di intervento della futura Legge delega fiscale, si deve evidenziare, fin da subito, che l’attuale sistema di aliquote e scaglioni è sostanzialmente svantaggiato, soprattutto per il ceto medio.

Come recentemente dichiarato anche dal Viceministro dell’Economia Maurizio Leo, nei prossimi mesi, obiettivo del Governo sarà dunque quello di riequilibrare il rapporto tra fisco e contribuente, anche attraverso una revisione strutturale del sistema impositivo e, in particolare, dell’IRPEF.

È quindi in partenza il cantiere delega fiscale, tra i cui obiettivi vi dovrebbe essere, in particolare, quello di una riduzione delle aliquote IRPEF, ferma restando la necessità di individuare le dovute coperture.

Altre misure sono poi attese sull’IRES, sull’IVA, e sull’IRAP.

Verso la legge delega fiscale: riforma IRPEF al centro

Intervenire sul sistema IRPEF, del resto, è misura attesa da tempo.

Se si prende per esempio in considerazione la busta paga lorda di un lavoratore medio italiano, che ammonta a poco meno di 30.000 euro (lordi), ciò significa che, ai fini IRPEF, tale soggetto è considerato come uno dei contribuenti più ricchi, collocato nel terzo scaglione e colpito da un’aliquota marginale del 38 per cento.

Un’azionista di una grande azienda, invece, pur magari guadagnando milioni grazie ai dividendi, pagherà un’imposta con un’aliquota fissa del 26 per cento.

La questione della rimodulazione IRPEF è dunque fondamentale, da un punto di vista politico, economico e di giustizia redistributiva.

In passato, per intervenire sul tema, era stato studiato il modello tedesco: un modello di progressività con aliquota continua e aliquote marginali costantemente crescenti dal 14 al 42 per cento, con un’ulteriore aliquota al 45 per cento e un’area di esenzione per i redditi più bassi.

Al di là dell’impatto suggestivo che alcune proiezioni di minore tassazione derivante dall’applicazione di tale sistema sembravano poter determinare, per capire il reale effetto di un meccanismo analogo al modello tedesco nel contesto italiano bisogna però tenere conto che, oltre alla mera applicazione delle aliquote, per verificare il reale impatto impositivo sul contribuente, va considerato anche l’effetto delle detrazioni (a partire da quelle su redditi di lavoro e pensione).

E allora emerge che il vantaggio di quel modello rispetto all’attuale sistema si riduce notevolmente fino ad azzerarsi.

È quindi molto più efficace intervenire, in maniera anche più semplice e lineare, riducendo gli attuali scaglioni.

Come noto le aliquote IRPEF, con la Legge di bilancio 2022, sono passate da cinque a quattro: il 23 per cento fino a 15.000 euro, il 25 per cento da 15.000 a 28.000 euro, il 35 per cento da 28.000 a 50.000 euro ed il 43 per cento oltre i 50.000 euro.

Dopo i 28 mila euro, in sostanza, il sistema diventa “punitivo”.

Le possibili novità sull’IRPEF con la riforma in arrivo

Per alleviare allora gli effetti di pressione fiscale, come detto, la soluzione più lineare è intervenire sul numero degli scaglioni.

A tal fine vi possono essere più ipotesi.

Si potrebbe ricorrere alla riduzione delle aliquote da 4 a 3, con un accorpamento che coinvolgerebbe circa 8 milioni di contribuenti.

Altra ipotesi potrebbe poi essere quella di un accorpamento delle prime due aliquote, quelle del 23 per cento e del 25 per cento, in una sola aliquota, pari, ad esempio, al 20 per cento, che si potrebbe applicare a tutti i contribuenti con redditi fino a 28.000 euro.

Ma le ipotesi intermedie possono comunque essere le più svariate.

Sempre nell’ottica di ridurre le aliquote appunto a tre, tra le possibili proposte, c’è, per esempio quella di introdurre un’aliquota unica del 27 per cento per i redditi tra 15 mila e 75 mila euro, continuando ad applicare l’aliquota del 43 per cento per i redditi oltre i 75 mila euro e quella del 23 per cento per i redditi sotto i 15 mila euro.

Un sistema dunque con solo tre aliquote, ma con un maxi-scaglione nella parte centrale.

Secondo le simulazioni già effettuate per testare il costo di questa ipotesi, la perdita di gettito per le casse dello Stato non sarebbe del resto nemmeno così drammatica.

Il primo anno il costo sarebbe infatti di 9 miliardi di euro e poi, a regime, aumenterebbe fino a 12 miliardi di euro.

Insomma, un percorso non facile, ma di responsabilità e ormai indispensabile.

La riforma dell’IRPEF non è comunque il solo obiettivo dichiarato dal Governo.

Tra gli interventi della riforma fiscale prospettati, oltre alla riduzione delle aliquote IRPEF, c’è anche, ad esempio, l’allargamento della flat tax, aumentando la portata della tassa piatta, oggi prevista con un’aliquota sola al 15b per cento per tutti gli autonomi e le partite IVA che fatturano fino a 85mila euro, magari inserendo l’aliquota del 15 per cento come primo scaglione IRPEF, e il quoziente familiare, tenendo conto della composizione del nucleo familiare, e quindi anche del numero di figli.

Verso la legge delega fiscale: non solo l’IRPEF al centro della revisione

Infine, sarebbe intenzione dell’esecutivo eliminare (o fortemente ridurre) l’IRAP e razionalizzare l’IVA, intervenendo specialmente sui beni con Iva agevolata al 4 per cento, al 5 per cento o al 10 per cento.

Ogni intervento di tipo “sostanziale” dovrà comunque tenere conto delle coperture.
E, a tal fine, si dovrà innanzitutto agire sulle esenzioni e agevolazioni fiscali, le cosiddette tax expenditures.

Il percorso della riforma, a quanto recentemente dichiarato, dovrebbe poi essere architettato in quattro fasi:

  • Una prima fase riguarderà i principi, con armonizzazione dei principi Ue, internazionali e dello Statuto dei contribuenti.
  • La seconda fase dovrebbe riguardare i procedimenti, dichiarativo, per il quale procedere con una semplificazione del calendario degli adempimenti e del meccanismo dei versamenti, accertativo, con, tra le altre, per le imprese di minori dimensioni, un concordato preventivo biennale, oltre che una semplificazione delle regole del contraddittorio, dell’autotutela e del sistema sanzionatorio (anche penale), e, infine, riscossorio e processuale (contenzioso tributario).
  • La terza fase riguarderà l’opera di codificazione di Testi unici, per arrivare alla stesura di un vero e proprio Codice tributario.
  • La quarta ed ultima fase riguarderà infine la parte sostanziale (le imposte), in primis l’IRPEF, ma anche, come detto, IRAP, IRES, IVA, contributi diretti, accise, giochi, tributi enti locali.

Richiamando le esperienze estere, il Governo ha inoltre fatto sapere che non sembra al momento necessaria un’accelerazione su Catasto, laddove negli altri Paesi comunitari la rivalutazione è ben più datata: in Austria dal 1973 non è stato fatto alcun aggiornamento, in Belgio dal 1975, in Francia dal 1970, in Germania dal 1964. Il sistema italiano, dove l’ultima rivalutazione è avvenuta nel 1988/89 è alla fine tra i più recenti.

In conclusione, come confermato anche dalla premier, la direttrice su cui la riforma si deve muovere sarà comunque il taglio del costo del lavoro e del cuneo fiscale, con un obiettivo di legislatura di 5 punti.

In tutto questo non bisogna poi dimenticare l’implementazione della già introdotta flat tax incrementale, laddove è stata introdotta, solo per quest’anno, dalla recente Legge di bilancio, una disciplina particolare riservata alle persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni che non applicano il regime forfetario.

Il trattamento di vantaggio potrà riguardare, al massimo, 40mila euro di base imponibile: l’eventuale eccedenza sconterà l’IRPEF (e relative addizionali) secondo i criteri ordinari.

Il beneficio fiscale consiste nell’assoggettare una parte del reddito d’impresa e/o di lavoro autonomo a un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e relative addizionali comunale e regionale, calcolata con l’aliquota del 15 per cento, anziché alle aliquote per scaglioni di reddito previste dalla tassazione IRPEF ordinaria.

L’applicazione della flat tax sull’aumento di reddito 2023 non comunque ha alcuna rilevanza sulla determinazione degli acconti d’imposta IRPEF e relative addizionali dovuti per l’anno d’imposta 2024.

I contribuenti, pertanto, dovranno pagare gli acconti 2024 non sulla sola quota di reddito 2023 assoggettata a IRPEF, ignorando quindi la quota “spostata” a tassazione sostitutiva, bensì considerando la base imponibile che sarebbe venuta fuori se tutto il reddito avesse seguito le regole ordinarie.

Insomma, tanta carne al fuoco.

Il cantiere delega fiscale è solo all’inizio.

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