Imposta evasa quantificata sulla base degli studi di settore

Emiliano Marvulli - Studi di settore

Lo scostamento dalle risultanze dallo studio di settore è utilizzabile ai fini della quantificazione dell'imposta evasa per il reato di omessa dichiarazione. La presenza di gravi irregolarità fiscali giustificano la ricostruzione induttiva del reddito complessivo.

Imposta evasa quantificata sulla base degli studi di settore

La presenza di gravi irregolarità fiscali, quali la mancata presentazione della dichiarazione, giustificano la ricostruzione induttiva del reddito complessivo, lo scostamento dalle risultanze dallo studio di settore è utilizzabile ai fini della quantificazione dell’imposta evasa per il reato di omessa dichiarazione. Sono queste le precisazioni contenute nella sentenza della Corte di Cassazione numero 26196/2019.

Corte di Cassazione - Sentenza numero 26196 del 13 giugno 2019
Lo scostamento dalle risultanze dallo studio di settore è utilizzabile ai fini della quantificazione dell’imposta evasa per il reato di omessa dichiarazione. A stabilirlo è la sentenza della Corte di Cassazione numero 26196/2019.

La sentenza – La Corte di Appello aveva condannato il legale rappresentante di una società operante nel settore ittico per il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini IVA.

Le soglie di punibilità previste dall’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 erano state superate in conseguenza alle risultanze di una verifica fiscale con cui l’Amministrazione finanziaria, basandosi su una serie di elementi indiziari - compreso il dato risultato dell’applicazione degli studi di settore - aveva accertato induttivamente l’imponibile e calcato l’imposta evasa.

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di merito per violazione del cit. art. 5, contestando che le conclusioni in ordine al superamento della soglia di punibilità sono fondate esclusivamente sulle risultanze di una verifica fiscale, “e che altamente opinabile, se non arbitraria, è l’individuazione dell’indice di ricarico, nella misura del 10%, sulla vendita delle merci”. La richiesta di assoluzione per insussistenza del fatto è stata però respinta dalla Corte di Cassazione che ha rigettato il ricorso dell’imputato.

Nella sentenza in commento il Collegio ha compiuto un’attenta analisi degli elementi indiziari posti a fondamento della ricostruzione induttiva del reddito, dando conto in motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati per la formazione del proprio libero convincimento.

In particolare, posto il dato di fatto dell’omessa presentazione della dichiarazione, nel corso del procedimento amministrativo erano emersi diversi elementi indiziari da cui presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati, ossia:

  • sulla base dei dati contabili la società avrebbe venduto “sottocosto” per tutto il periodo d’imposta accertato, senza alcuna apparente motivazione;
  • la percentuale di ricarico applicata sulle vendita “in chiaro” era significativamente inferiore a quella applicata l’anno precedente;
  • detta percentuale risultava inferiore anche a quella risultante dall’applicazione degli studi di settore di imprese analoghe del settore;
  • il conto cassa “per ben otto giorni” ha presentato un saldo negativo quando, trattandosi di denaro contante a disposizione, può essere al massimo pari a zero;
  • in corso d’anno i soci hanno effettuato ingenti “finanziamenti in c/soci”, pur non avendo questi redditi dichiarati tali da giustificare dette operazioni, che apparivano come dirette più che altro a giustificare il reingresso nella società di capitali acquisiti mediante vendite “in nero”.

I giudici penali hanno ritenuto fondata e legittima la ricostruzione induttiva effettuata dall’Ufficio che ha portato alla determinazione dell’imposta evasa, superiore alla soglia di punibilità prevista dalla legge penal-tributaria.

A parere degli ermellini, infatti, sebbene il ragionamento posto a base della decisione è indiziario esso non si fonda solo, e genericamente, sull’applicazione della percentuale di ricarico risultante dagli studi di settore, come lamentato dall’imputato. Infatti è apparso corretto il richiamo al dato risultante dall’applicazione degli studi di settore, in quanto lo stesso è inferiore a quello effettivamente riscontrato con riferimento alla società nell’anno precedente. Al tempo stesso è risultato inverosimile, perché contrario al canoni di ragionevolezza, l’ipotesi della conduzione di un intero esercizio un anno con vendite “sottocosto” e per importi ingenti, anche in considerazione della generale inattendibilità della contabilità aziendale, anche sulla base del riscontro del conto cassa in negativo.

Nella sentenza in commento i giudici di legittimità hanno inoltre ribadito un principio oramai consolidato per cui, ai fini della configurabilità dei reati in materia di I.V.A., “la determinazione della base imponibile, e della relativa imposta evasa, deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati, non rilevando l’eventuale sussistenza di costi non documentati”. Il ciò in quanto l’I.V.A. è “collocata in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale, che prevede la tracciabilità di tutte le fatture, attive e passive, emesse nei traffici commerciali, a nulla rilevando l’eventuale sussistenza di costi effettivi non registrati, i quali, invece, possono essere considerati con riferimento alle imposte dirette, non vincolate al rispetto di stringenti oneri documentali”.

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