Sono spese di rappresentanza o di pubblicità: dipende degli obiettivi perseguiti

Emiliano Marvulli - Imposte

Spese di rappresentanza o di pubblicità? La qualificazione dipende dalla finalità. I chiarimenti della Corte di Cassazione nell'Ordinanza n. 10781/2023

Sono spese di rappresentanza o di pubblicità: dipende degli obiettivi perseguiti

Il tema della corretta qualificazione tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità sostenute nell’ambito dell’attività di impresa è sempre di grande interesse visti gli importanti riflessi in termini di deducibilità ai fini delle imposte dirette.

Sul punto si è nuovamente espressa la Corte di cassazione con l’Ordinanza del 21 aprile 2023, n. 10781, ribandendo che il discrimen tra spese di pubblicità e di rappresentanza ai fini delle imposte dirette va individuato negli obiettivi perseguiti, anche strategici.

Pertanto, costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o propaganda quelle aventi come scopo preminente quello di pubblicizzare prodotti, marchi e servizi dell’impresa con una diretta finalità promozionale e di incremento delle vendite.

Il diverso trattamento fiscale

Ai fini delle imposte dirette, l’art. 108, co. 2 TUIR prevede che le spese di rappresentanza sono fiscalmente deducibili nel periodo di imposta di sostenimento e se posseggono i requisiti di inerenza e di congruità.

Il TUIR dispone che la deducibilità delle spese è soggetta ad un limite calcolato in percentuale sui ricavi e proventi conseguiti dalla gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi, ossia:

  • 1,5 per cento dei ricavi e proventi fino a 10 milioni di euro;
  • 0,6 per cento dei ricavi e proventi per la parte eccedente 10 milioni e fino a 50 milioni di euro;
  • 0,4 per cento dei ricavi e proventi per la parte eccedente 50 milioni di euro.

Sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50.

Per effetto delle modifiche al codice civile apportate dal D.Lgs. 139/2015, le spese di pubblicità (e le spese di ricerca di base e applicata) non sono più capitalizzabili.

Pertanto, a differenza di quelle “di rappresentanza”, le spese di pubblicità non rientrano più nell’ambito di applicazione dell’art. 108, co. 1, D.P.R. 917/1986, limitato alle spese relative a più esercizi, essendo pertanto deducibili secondo il criterio di cassa.

Ai fini IVA, il diritto alla detrazione dell’IVA riferito alle spese di rappresentanza è contenuto nell’art. 19-bis.1, co. 1, lett. h, del D.P.R. n. 633 del 1972, secondo cui “non è ammessa in detrazione l’imposta relativa alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore ad euro cinquanta”.

La decisione

La vicenda processuale sorge a seguito dell’impugnazione da parte di una società di un avviso di accertamento ai fini IRES e IVA, emesso sulla base delle risultanza di un processo verbale di constatazione, con cui l’Agenzia delle Entrate ha riqualificato, per quanto di interesse, i costi sostenuti dalla società alla stregua di spese di rappresentanza, anziché di pubblicità, con conseguenti riflessi in punto di deducibilità degli esborsi.

Nella specie, i costi riguardavano eventi organizzati nel 2007 dalla contribuente, consistiti in sfilata di modelle con indosso gioielli, cocktails, cena con concerto benefico, mostra di un artista e presentazione di un libro.

Il ricorso, accolto parzialmente dalla Commissione tributaria provinciale, veniva poi rigettato dal giudice d’appello, che confermava la legittimità dell’avviso di accertamento.

La società ha così proposto ricorso in cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 108 del TUIR.

Nel caso di specie la CTR aveva accertato che le spese in contestazione avevano ad oggetto “servizi di catering e intrattenimenti posti in essere in occasione di eventi vari come l’apertura di un nuovo negozio”, concludendo che i costi rispondevano nella specie all’obiettivo di diffondere e consolidare l’immagine dell’impresa senza una diretta correlazione con i ricavi, tanto da dover essere qualificate come spese di rappresentanza.

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il discrimen tra spese di pubblicità e di rappresentanza ai fini delle imposte dirette va individuato negli obbiettivi perseguiti, anche strategici, atteso che costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o propaganda quelle aventi come scopo preminente quello di pubblicizzare prodotti, marchi e servizi dell’impresa con una diretta finalità promozionale e di incremento delle vendite.

La regola è certamente applicabile anche nell’ipotesi in cui la società disponga di un bacino di utenza ristretto, in quanto operi in un settore di prodotti di lusso o di nicchia, perciò rivolgendosi ad una clientela selezionata.

In tale situazione, infatti, le spese pubblicitarie seguitano a contemplare i soli esborsi immediatamente incrementativi delle vendite sulla base della reclamizzazione diretta di uno o più prodotti.

Diversamente, restano di rappresentanza tutte quelle le spese che valgono essenzialmente a far conoscere ed apprezzare il soggetto che produce o commercializza una determinata tipologia di prodotti.

La Corte ha quindi sancito il seguente principio di diritto “In tema di redditi d’impresa, quand’anche la società contribuente, commercializzando prodotti di lusso o di nicchia, disponga di un’utenza di riferimento tendenzialmente ristretta, il criterio discretivo tra spese di pubblicità e spese di rappresentanza rimane rappresentato dagli obbiettivi immediatamente perseguiti mediante gli esborsi sostenuti, i quali per iscriversi fra le prime, devono necessariamente rispondere ad una finalità promozionale specificamente centrata sui prodotti, attraverso un’attività reclamistica e organizzativa direttamente calibrata sulla loro vendita, viceversa ricadendo fra le seconde ove finanzino iniziative imperniate sull’ente, orientandosi a potenziarne, quale patrocinatore o sovvenzionatore di eventi culturali, il grado di conoscenza, l’immagine e il prestigio fra i potenziali, selezionati clienti, e ciò ancorché possa derivarne, collateralmente e di riflesso, un incremento delle vendite dei prodotti.”

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