Presupporti per la revocazione nel processo tributario

Con le ordinanze n. 22047/2023 e 22261/2023, la Corte di Cassazione ha analizzato il tema dei presupposti per la revocazione nel processo tributario: l'esame di due casi

Presupporti per la revocazione nel processo tributario

La Corte di Cassazione, con le recenti Ordinanze n. 22047 e 22261 del 2023, si è espressa in tema di presupposti per la revocazione (ordinaria), ex art. 395 cpc.

Nel primo procedimento, la Commissione Tributaria Regionale aveva rigettato l’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza di primo grado.

Avverso tale sentenza il contribuente proponeva sia ricorso per revocazione, alla CTR, che ricorso per cassazione.

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Presupporti per la revocazione nel processo tributario: la Cassazione nel primo caso in esame

Il ricorso per revocazione veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale affermava che era fuori dubbio che la Commissione, erroneamente, avesse supposto la inesistenza della documentazione prodotta dal contribuente, che in effetti risultava agli atti processuali e, tuttavia, il punto sul quale era caduto l’errore aveva costituito oggetto di controversia fra le parti, avendo l’Ufficio contestato che il contribuente non avesse prodotto sufficiente documentazione a giustificazione delle movimentazioni finanziarie contestate.

Pertanto, nella fattispecie, se da un lato era pacifico che la Commissione avesse presupposto come base del suo ragionamento l’inesistenza di alcuna documentazione e ciò, in contrasto con quanto risultava dagli atti del processo, pur tuttavia l’errore di fatto aveva costituito oggetto di controversia fra le parti, e dalla lettura della sentenza era evidente anche la valutazione compiuta dal giudice.

Avverso tale sentenza la società proponeva quindi ricorso per cassazione.

Preliminarmente la Corte disponeva la riunione con il ricorso per cassazione già proposto contro la decisione di merito, dando continuità al principio secondo cui la riunione dei ricorsi, pur non espressamente prevista dalla norma del codice di rito, discende dalla connessione esistente tra le due pronunce, atteso che sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza resa in sede di appello può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione (cfr., Cass., 5 agosto 2016, n. 16435 e Cass., 6 luglio 2022, n. 21315).

Per quanto di interesse, la ricorrente lamentava la nullità della decisione, posto che la stessa, se da un lato aveva correttamente dato atto che nel caso di specie vi era stata l’erronea supposizione della mancata produzione e della inesistenza dei documenti giustificativi di tutte le poste contestate al contribuente (ciò che avrebbe dovuto comportare la revocazione della decisione ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.), dall’altro aveva ritenuto che le generiche affermazioni dell’Agenzia delle Entrate sulla correttezza dell’avviso di accertamento valessero a rendere i fatti controversi.

Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che l’art. 395, comma 1, n. 4, cpc circoscrive la rilevanza e decisività dell’errore di fatto al solo caso in cui la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero sull’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale il giudice si sia poi pronunciato.

Pertanto, la circostanza che un certo fatto non sia stato considerato dal giudice non implica necessariamente che quel fatto sia stato espressamente negato nella sua materiale esistenza (potendo invece esserne stata implicitamente negata la rilevanza giuridica ai fini del giudizio), perché altrimenti si ricondurrebbe all’ambito del giudizio per revocazione, piuttosto che all’ordinario giudizio di impugnazione, ogni fatto non espressamente considerato nella motivazione giudiziale, tanto più che la Costituzione, art. 111 non impone di prevedere quale causa di revocazione l’errore di giudizio o di valutazione (cfr., Cass., 7 febbraio 2017, n. 3200).

L’errore di fatto, idoneo a costituire motivo di revocazione ex art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c. presuppone, dunque, il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (cfr., Cass., 18 settembre 2008, n. 23856; Cass., Sez. U., 7 marzo 2016, n. 4413), con la conseguenza che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico (cfr., Cass., 15 gennaio 2009, n. 844).

In generale, pertanto, l’errore revocatorio non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici, ma deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche.

L’errore deve essere inoltre essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa (cfr., Cass., 13 giugno 2017, n. 14656).

Di conseguenza, non è idoneo ad integrare errore revocatorio l’ipotizzato travisamento di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile, in quanto tale, quand’anche risulti errata, di revocazione (cfr., Cass., 5 aprile 2017, n. 8828; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27570).

Il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non deve in ogni caso avere costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi (cfr., Cass., 4 aprile 2019, n. 9527; Cass., 15 dicembre 2011, n. 27094).

Tanto premesso, nella specie, il ricorso era infondato, atteso che, come correttamente affermato dai giudici di appello, se da un lato era pacifico che la Commissione avesse presupposto come base del suo ragionamento l’inesistenza di alcuna documentazione, in contrasto con quanto risultava dagli atti del processo, pur tuttavia l’errore di fatto aveva costituito oggetto di controversia fra le parti.

Anche l’Ordinanza n. 22261/2023 confermava tale impostazione.

La revocazione nel processo tributario: il secondo caso in esame

In quel caso era stata l’Agenzia delle Entrate ad avere proposto ricorso per revocazione per erronea supposizione, ex art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c., di fatto processuale incidente sul termine di impugnazione della sentenza di merito.

La pronunciata tardività si fondava infatti sulla ritenuta durata semestrale del c.d. termine lungo di impugnazione della sentenza oggetto di ricorso per cassazione, che veniva meramente presupposta.

E tuttavia, nella specie, il ricorso di primo grado era stato depositato presso la Commissione Tributaria Provinciale in data 17 giugno 2009, circostanza pacifica e incontestata.

Da ciò, la durata annuale, e non semestrale, del c.d. termine lungo di impugnazione, giusta la previsione di cui all’art. 327 c.p.c. vigente ratione temporis e la specifica previsione di diritto intertemporale di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, secondo cui:

“1. Fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore …”

Era evidente, allora, secondo l’Agenzia, la natura revocatoria del vizio in questione, che, effettivamente, consisteva proprio nella supposizione di un fatto (processuale) la cui verità era incontrastabilmente esclusa dagli atti e che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale.

Secondo la Suprema Corte, in questo caso, la censura era fondata.

Evidenziano infatti i giudici di legittimità che, nella fase rescindente del giudizio di revocazione, il giudice, verificato l’errore di fatto (sostanziale o processuale), deve valutarne la decisività alla stregua del solo contenuto della sentenza impugnata, operando un ragionamento di tipo controfattuale, che, sostituita mentalmente l’affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione stessa.

Nel caso in cui tale accertamento dia esito negativo, nel senso che la sentenza impugnata risulti, in tal modo, priva della sua base logico-giuridica, il giudice deve procedere alla fase rescissoria attraverso un rinnovato esame del merito della controversia, che tenga conto dell’effettuato emendamento (cfr., Cass., 23 aprile 2020, n. 8051).

Tanto premesso, nel caso in esame, secondo la Cassazione, sussisteva il denunciato vizio revocatorio, essendo circostanza pacifica che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato depositato in data 17 giugno 2009, con conseguente applicabilità del termine annuale di impugnazione (e non di quello semestrale).

A prescindere dagli specifici casi processuali, giova evidenziare quanto segue.

La revocazione ordinaria è uno strumento processuale a cui il contribuente (o l’Ufficio) può ricorrere quando si accorge che i giudici, nell’esame della controversia, hanno commesso un errore macroscopico.

Secondo la Corte di Cassazione l’errore che consente di richiedere la revocazione della sentenza deve essere evidente, risultante dagli atti del giudizio e tale da avere indotto i giudici a fondare la propria decisione sulla supposta ed erronea inesistenza (o esistenza) di un fatto, che invece, laddove fosse stato esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione.

L’errore di fatto deve inoltre essere stato decisivo.

Dall’altra parte, un’inesatta valutazione delle prove non può mai costituire motivo di revocazione. E l’errore deve avere quale oggetto la percezione di fatti e non la valutazione giuridica di essi, sindacabile invece con gli ordinari mezzi di impugnazione (appello, ricorso per cassazione).

Infine è bene evidenziare che l’errore di fatto, che, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, può dar luogo alla revocazione, non può mai cadere, per definizione, sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, sia perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono “fatti” ai sensi del citato art. 395, n. 4, sia poiché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice.

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