Illecita somministrazione di manodopera e operazioni soggettivamente inesistenti

Fatture relative ad appalto/illecita somministrazione manodopera, qualificabili come operazioni soggettivamente inesistenti, al centro della Sentenza della Corte di Cassazione n. 19595 del 2023

Illecita somministrazione di manodopera e operazioni soggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19595 del 10 maggio 2023, si è espressa in tema di fatture relative ad appalto/illecita somministrazione manodopera, qualificabili come operazioni soggettivamente inesistenti.

Nel caso di specie, per quanto di interesse, la Corte d’Appello aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale, con la quale l’imputato era stato condannato, alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione, in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui al Dlgs. n. 74 del 2000, art. 2, perché, quale legale rappresentante di una società, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, aveva indicato nelle dichiarazioni presentate per gli anni di imposta 2014 e 2015 elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture emesse da un’altra società, relative ad operazioni (soggettivamente) inesistenti.

Illecita somministrazione di manodopera e operazioni soggettivamente inesistenti: i fatti analizzati dalla Cassazione

Avverso tale sentenza l’imputato ricorreva infine per cassazione, deducendo, tra le altre, che la Corte territoriale aveva erroneamente applicato l’art. 2 del Dlgs 74/2000, in particolare laddove, a fronte di fatture soltanto soggettivamente inesistenti, aveva ritenuto integrato il reato anche con riguardo alle imposte dirette.

Secondo il ricorrente, dovevano infatti tenersi distinte le due imposte evase, laddove per le imposte dirette il reato poteva essere integrato soltanto nell’ipotesi di inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture.

I giudici del merito, pertanto, una volta accertato, o comunque non escluso, che le prestazioni oggetto delle fatture contestate erano state effettivamente poste in essere, secondo il ricorrente, avrebbero dovuto escludere, trattandosi di un’ipotesi di inesistenza meramente soggettiva, la sussistenza del reato di cui al citato articolo 2, quanto meno con riguardo all’evasione dell’IRES.

Secondo la Suprema Corte la censura era infondata.

Evidenziano i giudici di legittimità che, secondo quanto accertato nella specie dalle conformi sentenze di merito, e mai messo in discussione, l’imputato aveva utilizzato nelle dichiarazioni fiscali relative agli anni di imposta 2014 e 2015 fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, alla luce dell’emersa intermediazione illegale di manodopera.

Secondo l’accertamento di fatto era infatti risultato dimostrato che la società del ricorrente aveva utilizzato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, che dissimulavano la somministrazione illecita di manodopera dietro l’apparente indicazione di tipologie di lavori diverse.

La posizione della Cassazione su illecita somministrazione di manodopera e operazioni soggettivamente inesistenti

Ciò premesso, rileva la Corte, l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, che dissimulano un’attività illecita di somministrazione di manodopera mascherata dalla conclusione di fittizi contratti di appalto di servizi, ex art. 29 del Dlgs n. 276 del 2003 integra una operazione soggettivamente inesistente, stante il carattere dissimulato del contratto, integrando quella divergenza tra realtà fenomenica e realtà meramente giuridica dell’operazione, che, secondo la giurisprudenza consolidata, integra comunque l’inesistenza di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), del Dlgs n. 74/2000 (cfr., Cass., n. 11633 del 02/02/2022; Cass., n. 20901 del 26/06/2020; Cass., n. 1998 del 15/11/2019).

Tale inesistenza, quanto al versante dell’IVA, apre la strada al recupero indebito dell’imposta stessa, mentre, con riguardo all’imposta sui redditi, l’utilizzo della fattura che dissimula una diversa prestazione apre la strada alla detrazione di costi, anch’essi fittizi perché non correlati alla prestazione reale, funzionale ad abbattere indebitamente il reddito di esercizio mediante l’imputazione del costo dei servizi, rappresentato dal costo del lavoro che altrimenti le società non avrebbero potuto detrarre.

In definitiva, sottolinea la Corte, l’art. 2 del Dlgs 74/2000 non distingue tra inesistenza oggettiva o soggettiva, laddove oggetto della sanzione penale è, semplicemente, ogni divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.

Integra pertanto il delitto l’utilizzazione, anche nella dichiarazione ai fini delle imposte dirette, di fatture formalmente riferite ad un contratto di appalto di servizi, che costituisce, di fatto, lo schermo per occultare una somministrazione irregolare di manodopera, realizzata in violazione dei divieti di cui al previgente Dlgs n. 276/2003, poi sostituito dal Dlgs n. 81/2015.

Si tratta infatti di fatture relative a un negozio giuridico solo apparente, diverso da quello realmente intercorso tra le parti, ed attinente ad un’operazione implicante significative conseguenze di rilievo fiscale (cfr., Cass., n. 45114 del 28/10/2022), con riguardo ad entrambe le imposte.

Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali ed approfondendo alcuni dei concetti emersi nella sentenza, giova anche evidenziare quanto segue.

Alcune precisazioni

Il tema del rapporto tra interposizione fittizia e false fatturazioni, nell’ambito di una vicenda di interposizione illegale di manodopera, dissimulata attraverso la stipulazione di fittizi contratti di appalto di servizi, è sempre complesso.

L’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non incide, come visto, sulla configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall’art. 2 del Dlgs. 10 marzo 2000, n. 74, il quale, nel riferirsi all’uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo (cfr., Cass., n. 4236 del 29/01/2019; Cass., n. 30874 del 02/03/2018).

Ne consegue pertanto che il delitto ex art. 2 Dlgs. n. 74 del 2000 è astrattamente configurabile anche nel caso di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversità tra il soggetto emettente la fattura e quello che ha fornito la prestazione, con dunque, nel caso di utilizzo di fatture rilasciate da una società che ha effettuato interposizione illegale di manodopera, anche il concorso fra la contravvenzione di intermediazione illegale di manodopera (art. 18 Dlgs. n. 276 del 2003) e il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ex art. 2 Dlgs. n. 74 del 2000 (cfr., Cass., n. 24540 del 20/03/2013).

Il divieto di intermediazione di manodopera, ove irregolare (cfr., Cass., sez. Un., 26 ottobre 2006, n. 11910) comporta comunque la “nullità” del contratto stipulato tra committente ed appaltatore (con conseguente nullità anche del contratto tra lavoratore e somministratore), incidendo, in tal modo, anche ai fini dell’IVA e dell’IRAP (cfr., Cass., Sez. penale, n. 8809 del 04.03.2021 e Cass., n. 18416 del 04.09.2020).

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