Il rapporto tra il reato di omesso versamento Iva e le procedure di rottamazione ter e concordato preventivo al centro della Sentenza della Corte di Cassazione n. 43602 del 2021.
La Corte di Cassazione, Sez. Penale, con la sentenza n. 43602 del 26 novembre 2021, si è pronunciata sul delicato profilo del rapporto tra il reato di omesso versamento IVA e le procedure di rottamazione ter e concordato preventivo, ai fini dell’applicazione di eventuali scriminanti, in particolare sotto l’aspetto soggettivo.
Nel caso di specie, il Tribunale, all’esito di giudizio abbreviato, condannava l’imputato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni 1 e mesi 4 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole di più episodi dei reati di cui agli art. 10 bis e 10 ter del Dlgs. n. 74 del 2000, a lui contestati perché, in qualità di legale rappresentante di una società, aveva omesso di versare le ritenute scaturenti dalla autoliquidazione della dichiarazione mod. 770, nonché l’Iva dovuta in base alle dichiarazioni annuali, con riferimento gli anni di imposta 2014, 2015 e 2016.
- Corte di Cassazione - Sentenza numero 43602 del 26 novembre 2021
- Il testo della Sentenza della Corte di Cassazione numero 43602 del 26 novembre 2021
Omesso versamento IVA, rottamazione ter e concordato preventivo: i fatti della sentenza n. 43602/2021
La Corte di appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava la pena a carico dell’imputato, riconosciute le attenuanti generiche, nella misura di mesi 8 di reclusione, confermando nel resto la decisione del Tribunale.
L’imputato proponeva infine ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, deducendo il difetto di motivazione della pronuncia impugnata, avendo, a suo avviso, i giudici omesso di argomentare in ordine agli effetti, sotto il profilo penale, della falcidiabilità del credito Iva, il quale, come avvenuto nel caso di specie, poteva essere oggetto di transazione fiscale ai sensi dell’art. 182 ter della legge fall.; il che, asseriva il ricorrente, comportava l’esclusione della responsabilità della legale rappresentante della società, essendo la transazione fiscale ancora in itinere ed avendo peraltro la società anche aderito alla cd. rottamazione ter, di cui all’art. 3 del decreto legge n. 119 del 2018.
La Corte territoriale, eccepiva l’imputato, non si era poi pronunciata sugli effetti incongrui che derivavano dal mancato coordinamento tra norme tributarie ordinarie, che consentono la rateizzazione per il pagamento dell’IVA, e quelle penali tributarie, che invece prevedono un reato omissivo istantaneo, il quale si perfeziona alla scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, essendo del tutto irrilevante la rateizzazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, incidendo tale corto circuito normativo sulla sussistenza dell’elemento soggettivo.
Il ricorrente censurava quindi il giudizio sulla configurabilità dei reati sotto il profilo soggettivo, rilevandosi che la società in questione era una società di calcio che aveva militato a lungo nei campionati di serie C, disputando anche la serie B per 4 anni consecutivi, dopodiché aveva cessato la propria attività sportiva a livello professionistico, non iscrivendosi al campionato di Lega Pro e depositando infine istanza di concordato preventivo.
Questo epilogo societario non aveva quindi più consentito all’imputato di proseguire con il pagamento dei ratei dell’IVA e con i pagamenti delle ritenute, venendo egli, con la richiesta di ammissione alla procedura concorsuale, anche privato di ogni autonomia di azione, agendo nella condizione di cd. “spossessamento attenuato”, che caratterizza, secondo la dottrina, la posizione dell’imprenditore, il quale, pur conservando la gestione dell’impresa, perde la sua autonomia operativa.
Da tutto ciò, secondo il ricorrente, conseguiva l’assenza del dolo, dovendo egli rispettare le regole della procedura concorsuale attivata, almeno fino alla data in cui il concordato non era stato poi omologato per la mancata approvazione dei creditori.
Secondo la Suprema Corte le censure sollevate erano infondate.
Rapporti tra reato di omesso versamento IVA, rottamazione ter e concordato preventivo
Evidenziano i giudici di legittimità che, quanto alla prima eccezione, già nel giudizio di primo grado, la difesa aveva sollevato il tema dell’accesso alla definizione agevolata del debito tributario da parte della società amministrata dall’imputato.
E già in quella sede il Tribunale (con motivazione poi molto più sinteticamente ripresa anche dalla Corte di appello) aveva rilevato come fosse rimasta indimostrata l’eventuale ammissione alla procedura da parte dell’organo accertatore, e ciò sia rispetto alla transazione fiscale, sia con riferimento alla cd. “rottamazione ter”.
Era stata del resto in tal senso richiamata l’affermazione della Suprema Corte (cfr., Cass., Sez. 3, n. 6591 del 26/10/2016, dep. 2017), secondo cui, in tema di reati tributari, va esclusa la configurabilità del delitto di omesso versamento delle ritenute d’imposta dovute e certificate, in presenza di una transazione fiscale concordata ai sensi dell’art. 182-ter della legge fallimentare, ove omologata prima della consumazione del reato coincidente con la data di scadenza prevista per il versamento omesso, circostanza questa che, però, non si era verificata nel caso di specie.
Il riferimento alla tematica della cd. falcidiabilità del credito IVA, pertanto, rileva la Cassazione, non appariva pertinente, essendo stato precisato, nello stesso ricorso, che la procedura di transazione fiscale che avrebbe legittimato tale meccanismo era “ancora in itinere”.
Né, infine, rilevano i giudici di legttimità, appariva ravvisabile una distonia del sistema normativo rispetto al fatto che la richiesta di adesione alla cd. rottamazione ter non dispiegasse effetti estintivi rispetto alla fattispecie delittuosa di omesso versamento dell’IVA, non essendo affatto irragionevole la diversità di regime tra la disciplina penale, volta a sanzionare una condotta omissiva istantanea, che si consuma alla scadenza del termine per il versamento dell’IVA, e la procedura amministrativa di recupero dell’imposta evasa, che non elide il disvalore penale della condotta già realizzata, ma che può eventualmente rilevare ai (soli) fini della non operatività della confisca, ai sensi dell’art. 12 bis comma 2 del Dlgs. n. 74 del 2000, il quale, appunto, stabilisce che la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’Erario.
Fermo restando, sottolinea comunque la Corte, che, ove a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, vi sia stato il pagamento integrale del debito, lo stesso, in base all’art. 13 del Dlgs. n. 74 del 2000, rende non punibile l’autore del reato; nel caso però in cui l’estinzione del debito avvenga prima dell’apertura del dibattimento.
In conclusione, su tale punto, il legislatore aveva già calibrato adeguatamente le possibili interferenze tra disciplina penalistica e disciplina amministrativa, senza dare luogo a situazioni di possibili incertezze.
Quanto poi alla rilevanza della domanda di concordato preventivo sul profilo soggettivo del reato, le due conformi sentenze di merito, secondo la Cassazione, in maniera pertinente, avevano richiamato la condivisa affermazione (cfr., Cass., Sez. 3, n. 13628 del 20/02/2020, e Sez. 3, n. 49795 del 23/05/2018), secondo cui, in tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento di IVA di cui all’art. 10 ter del Dlgs. n. 74 del 2000, non assume rilevanza, né sul piano dell’elemento soggettivo, né su quello della esigibilità della condotta, la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, la quale non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione ma prima dell’adozione di provvedimenti da parte del Tribunale, essendosi in tal senso precisato che, per la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, è sufficiente, stante la struttura del delitto (che è omissivo proprio a consumazione istantanea), la consapevolezza di omettere il versamento dell’imposta dovuta sulla base della dichiarazione annuale presentata dall’obbligato.
E questo a prescindere dagli intendimenti e dalle condotte successive del debitore, posto che, come detto, ciò che determina la configurabilità del reato è soltanto quanto emergente dalla dichiarazione annuale e l’inadempimento alla scadenza dell’obbligazione tributaria dalla stessa risultante.
La procedura di concordato preventivo, conclude la Cassazione, scrimina dunque il reato di omesso versamento, sia dell’IVA che delle ritenute, solo quando, a seguito della presentazione dell’istanza di ammissione al concordato, sia intervenuto un provvedimento del Tribunale che abbia vietato, o comunque non autorizzato, come invece richiesto dall’interessato, il pagamento dei debiti tributari, essendo in tal caso configurabile la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all’art. 51 cod. pen.
Tutto ciò, però, non era avvenuto nella vicenda in esame, nella quale, peraltro, come visto, non vi era poi stata neanche l’ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Per cui, anche sotto tale profilo, non vi era spazio per l’accoglimento della censura difensiva, non essendovi stata alcuna (legittima) ragione ostativa al pagamento del debito tributario.
Il giudizio sull’integrazione del delitto contestato, sia sul versante oggettivo, sia sotto il profilo soggettivo, non prestava quindi il fianco alle censure difensive, che riproponevano temi già adeguatamente affrontati nelle due decisioni di merito.
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