In caso di accertamento tributario, via libera al raddoppio dei termini anche senza denuncia se l'Amministrazione finanziaria fa un buon uso della disposizione normativa: lo chiarisce la Corte di Cassazione con la Sentenza numero 20409 del 2023
In tema di accertamento tributario, per il raddoppio dei termini di accertamento - nella disciplina vigente ratione temporis - era sufficiente l’emersione di elementi da cui derivasse l’obbligo di presentazione di denuncia penale, non rilevando i successivi esiti dell’accertamento né il fatto che gli atti impositivi fossero fondati su elementi privi di rilevanza penale, salvo che la disposizione normativa non sia stata usata dall’Amministrazione finanziaria in maniera pretestuosa o strumentale, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine per i controlli fiscali.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 20409 del 14 luglio 2023.
Raddoppio dei termini anche in assenza di denuncia: la Sentenza numero 20409 del 2023
La controversia ha preso le mosse da un avviso di accertamento, emesso nel 2015 sulla base delle risultanze di una verifica fiscale condotta nei confronti di una società, riferito a maggior IRES e IVA relativi agli anni 2005 e 2006.
La società ha proposto ricorso avverso l’atto impositivo lamentando l’intervenuta decadenza del potere impositivo.
I giudici di merito di entrambi i gradi di giudizio hanno accolto le doglianze della società perché l’Amministrazione finanziaria non aveva dimostrato in giudizio prova della pendenza di indagini o di un giudizio penale.
In particolare la CTR ha osservato che gli accertamenti impugnati non si fondavano sugli elementi in relazione ai quali era stata inoltrata denuncia di reato, contenuti nel PVC notificato per gli anni dal 2005 al 2008, ma su rilievi analitici, contenuti nello stesso verbale, in relazione alle quali non erano state superate le soglie di punibilità penale, oltre che sulle indagini finanziarie successivamente svolte.
La stessa CTR rilevava che, poiché il superamento delle soglie di punibilità dipendeva dai rilievi di tipo indiretto che erano stati abbandonati dall’Ufficio, quella denunzia era irrilevante rispetto agli avvisi di accertamento emessi.
L’Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza, dolendosi della violazione e falsa applicazione dell’art. 43 d.p.r. n. 600 del 1973 e dell’art. 57 d.p.r. n. 633 del 1972 nonché dell’art. 37 commi 24, 25 e 26 D.L. n. 223 del 2006, nella parte in cui la CTR aveva ritenuto che non sussistessero i presupposti per il raddoppio dei termini perché gli avvisi di accertamento emessi non si fondavano sui rilievi indiretti che perfezionavano i presupposti per la denuncia penale, in particolare sotto il profilo del superamento delle soglie.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
La posizione della Corte di Cassazione su raddoppio dei termini e obbligo di denuncia
Si premette che al caso di specie si applicano le disposizioni degli artt. 43 del DPR 600/1973 e 57 del DPR 633/1972, come integrati dall’art. 37, co. 24 del D.L. n. 223 del 2006 per cui, nel caso la violazione fiscale comporti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento raddoppiano relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.
Sono pertanto escluse dal caso de qua le modifiche introdotte al citato art. 43:
- sia dall’art. 2, co. 1 e 2 del D.Lgs. n. 128 del 2015, che ha condizionato il raddoppio dei termini solo ai casi in cui la denuncia sia stata effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, che
- dall’art. 1, co. 130, 131 e 132, della Legge n. 208 del 2015, che hanno eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari.
Ciò premesso, il raddoppio dei termini di accertamento, nella disciplina vigente dopo l’emanazione dell’art. 37, comma 24, d.l. n. 223/2006, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia di reato, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei delitti previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 e, quindi, la ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, non essendo necessario l’inizio di un’attività istruttoria penale. Ciò in quanto si tratta di termini automaticamente operanti in presenza di una specifica condizione obiettiva.
L’emersione in sede di verifica delle condizioni di “denunciabilità” penale è sufficiente per determinare il raddoppio dei termini, che operano automaticamente in presenza del mero riscontro di quella condizione obiettiva, cosicché non è richiesta l’effettiva presentazione della denuncia e, comunque, restano irrilevanti gli esiti del procedimento penale.
Allo stesso modo non rileva che, successivamente al momento in cui è stata commessa la violazione ed effettuato l’accertamento, a seguito dell’annullamento di una parte della pretesa tributaria, sia venuta meno la soglia di punibilità e conseguentemente l’obbligo di denuncia penale, salvo che, in linea con quanto affermato dalla sentenza n. 247 del 2011 della Corte Costituzionale, l’Amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine.
Se la ratio del raddoppio dei termini, di natura essenzialmente procedimentale, è quella di dare all’Ufficio un tempo maggiore per gli accertamenti nei casi più gravi in cui gli elementi emersi presentano rilievo penale, la possibilità che, proprio ad esito di quegli accertamenti e del contraddittorio endoprocedimentale, le iniziali emergenze vengano ridimensionate e l’atto impositivo si fondi su elementi privi di rilievo penale non può certamente implicare, a posteriori, il venir meno dei presupposti del raddoppio dei termini.
La Corte di cassazione ha quindi espresso il seguente principio di diritto:
“In tema di accertamento tributario, per il raddoppio dei termini ex artt. 43, comma 3, d.p.r. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, è sufficiente l’emersione di elementi da cui derivi l’obbligo di presentazione di denuncia penale e non rilevano i successivi esiti dell’accertamento né il fatto che gli atti impositivi siano fondati su elementi privi di rilevanza penale, salvo che non emerga un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine”.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Se l’Ufficio ne fa buon uso, ok al raddoppio dei termini anche senza denuncia