Indennità sostitutiva del preavviso, si prescrive sempre in 5 anni

Eleonora Capizzi - Leggi e prassi

Indennità sostitutiva per mancato preavviso: il lavoratore può richiederla in ogni caso entro 5 anni, e non 10, dalla cessazione del rapporto. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 14062 del 21 maggio 2021 sostenendo l'applicazione della prescrizione breve a prescindere dalla natura della prestazione e dal tipo di rapporto alla base. La motivazione: le difficoltà probatorie in caso di allungamento eccessivo dei tempi.

Indennità sostitutiva del preavviso, si prescrive sempre in 5 anni

Il lavoratore può richiedere al suo ex datore di lavoro l’indennità sostitutiva per il mancato preavviso entro 5 anni dall’avvenuta cessazione del rapporto, a prescindere dal fatto che riguardi un contratto di lavoro subordinato.

Con una recente pronuncia, la sentenza numero 14062 del 21 maggio 2021, la Corte di Cassazione ha, di fatto, ribadito l’orientamento giurisprudenziale che ormai da una decina d’anni ha preso piede: la prescrizione per l’azione volta a ottenere l’indennità, in ogni caso, si prescrive con il termine breve e non in 10 anni.

Per la sentenza, la prescrizione quinquennale prescinde sia dalla natura, retributiva o previdenziale, dell’indennità che dal tipo di rapporto, subordinato o parasubordinato, in essere. L’unico presupposto è la conclusione del rapporto di lavoro.

In questo caso, infatti, il lavoratore che richiede l’indennità sostitutiva, e a cui la Cassazione ha opposto l’avvenuta prescrizione, era un agente, quindi un lavoratore autonomo, e non un dipendente.

La ratio della norma è quella di evitare così le difficoltà probatorie derivanti legate ad azioni troppo lontane nel tempo rispetto all’estinzione del rapporto sostanziale, ossia il rapporto di lavoro.

Sono, infatti, di norma queste le ragioni alla base della distinzione tra i diritti che si prescrivono in 10 anni e quelli che si prescrivono in 5.

Indennità sostitutiva del preavviso, si prescrive sempre in 5 anni

Se la parte che intende interrompere il rapporto di lavoro, datore o lavoratore che sia, non rispetta il periodo di preavviso, è obbligata a corrispondere all’altra un’indennità sostitutiva, pari alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato durante il preavviso. Lo prevede l’articolo 2118 del Codice Civile.

Questa prestazione, lo ricorda la Sezione Lavoro della Suprema Corte con la sentenza del 21 maggio, quando è dovuta dal datore di lavoro all’ex dipendente rientra tra quelle che si possono richiedere entro 5 anni dall’evento che le giustifica - il licenziamento - così come dispoto dall’articolo 2948 del codice Civile.

Si tratta delle indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro che, secondo l’interpretazione della Corte, ricomprende tutte le somme dovute in relazione alla fine del rapporto, qualsiasi esso sia.

“Le indennità spettanti al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro sono assoggettate alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 5 cod. civ. a prescindere dalla loro natura, retributiva o previdenziale, in ragione dell’esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall’eccessiva sopravvivenza dei diritti sorti in occasione della chiusura del rapporto”.

Si legge, infatti, nella motivazione della sentenza che richiama i precedenti orientamenti giurisprudenziali.

Indennità sostitutiva, in quanto credito da lavoro si prescrive in 5 anni

Come sempre, la pronuncia del giudice di legittimità prende le mosse da un caso specifico che, stavolta, si riferisce ad un contratto di agenzia.

Si tratta di contratto con cui una parte, detta “agente”, assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra persona, detta “preponente”, la conclusione di contratti verso una certa retribuzione.

Anche per questa specifica ipotesi è prevista un’indennità di preavviso in caso di recesso anticipato, disciplinata dagli articoli 1750 e 1751 del Codice Civile e il relativo diritto, secondo quanto ribadito dalla Corte, non può essere azionato dopo 5 anni dalla conclusione del rapporto.

La ragione è da rintracciare proprio nel fondamento della norma, delineato dalla Corte per cui, infatti, la prescrizione quinquennale riguarda tutte le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, subordinato o meno, proprio perché il legislatore non prevede nessuna limitazione.

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