Eliminare la detrazione per il coniuge a carico per favorire l’occupazione femminile? I tempi non sono maturi

Rosy D’Elia - Irpef

La detrazione per il coniuge a carico frena l'occupazione femminile. Ma per la maggior parte dei lettori e delle lettrici che hanno partecipato al sondaggio sul tema, lo sconto IRPEF non è da mettere in discussione. Come funziona e in che modo può incidere sulla partecipazione delle donne al mondo del lavoro

Eliminare la detrazione per il coniuge a carico per favorire l'occupazione femminile? I tempi non sono maturi

Per raggiungere la parità di genere servono ancora 131 anni: la previsione arriva dal Global Gender Gap Report del 2023. In Italia una delle strade da seguire per accorciare le distanze tra uomini e donne è quella dell’incremento dell’occupazione femminile: su questo non c’è dubbio.

Ma i dubbi, le resistenze e le incertezze emergono sulla strategia da mettere in campo.

Come evidenziato tra gli altri dalla Banca d’Italia e dall’OCSE, nel lungo elenco di elementi culturali, sociali ed economici che frenano l’ingresso e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro c’è anche la detrazione per il coniuge a carico, ma i lettori e le lettrici di Informazione Fiscale che hanno partecipato al sondaggio sul tema si dividono e la maggior parte è contraria all’eliminazione dello sconto IRPEF.

Detrazione coniuge a carico? Eliminarla non favorisce l’occupazione femminile

Il risultato dell’indagine rispecchia anche molte delle reazioni raccolte sui social:

  • certamente non è una cifra che compensa uno stipendio;
  • in che modo può frenare l’occupazione femminile?
  • è un’assurdità.

È questa, in sintesi, la posizione di diversi utenti, uomini e donne.

Per argomentare punto per punto, vale la pena, quindi, analizzare che cos’è, come funziona e quale impatto determina la detrazione per il coniuge a carico nel sistema di tassazione e agevolazioni italiano.

In estrema sintesi, in base a quanto previsto dall’articolo 12 del Testo Unico delle imposte sui redditi, è previsto uno sconto IRPEF quando uno dei due coniugi non lavora o, comunque, ha delle entrare minime restando a “carico” dell’altro.

Quando il reddito complessivo annuale è uguale o inferiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili, il coniuge che presenta la dichiarazione dei redditi ha diritto a una detrazione IRPEF di un valore che cambia in base alle condizioni economiche.

Detrazione coniuge a carico e occupazione femminile: perché i due elementi sono collegati?

Senza dubbio i valori riportati in tabella non equivalgono a uno stipendio, ma il cuore della questione non si conclude con un’operazione matematica.

Non è il confronto tra il valore dello sconto IRPEF e un eventuale stipendio a scoraggiare l’occupazione femminile, ma tutto il contesto in cui è immerso.

Per come è concepito attualmente il sistema di agevolazioni e di tassazione, l’entrata o il ritorno nel mondo del lavoro delle donne può determinare conseguenze in due direzioni:

  • da un lato un aumento di reddito può generare perdite in termini di bonus e strumenti di sostegno: solo l’assegno unico prevede una maggiorazione per le famiglie in cui lavorano entrambi i coniugi;
  • dall’altro la perdita di lavoro domestico e di cura di cui si fanno carico per la maggior parte le donne può comportare la necessità di sostenere spese aggiuntive.

“La disoccupazione (o la scarsa occupazione) del coniuge a carico abbassa le aliquote fiscali marginali sul coniuge che lavora, in modo tale che, per alcuni livelli di reddito, avere un reddito aggiuntivo in famiglia potrebbe non essere conveniente. Marino et al. (2016) e Colonna e Marcassa (2015) dimostrano questo punto”.

Spiega la Banca d’Italia nel report diffuso lo scorso giugno Women, labour markets and economic growth in cui emerge, tra i diversi punti, l’effetto freno sull’occupazione femminile determinato dalla detrazione per il coniuge a carico.

Della necessità di superarla ne ha parlato ai microfoni di Informazione Fiscale anche l’economista l’economista Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano.

Chiamato a discutere della proposta gender tax, l’idea di una tassazione differenziata per genere formulata dagli economisti Ichino e Alesina, sottolineava la forza contraria determinata dall’agevolazione definendola un vero e proprio disincentivo per le donne alla partecipazione al mondo del lavoro: “andrebbe tolto e utilizzato come fonte di compensazione per tagliare le tasse al secondo percettore di reddito in famiglia”.

Più di recente a farsi portavoce di una posizione simile è stata l’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, negli studi sull’Italia pubblicati a gennaio 2024 si legge:

“Se, da un lato, il calcolo delle imposte in base al reddito individuale anziché quello congiunto del nucleo familiare e la recente introduzione di un supplemento al sussidio per i genitori destinato al percettore secondario di reddito (Assegno Unico Universale) incentivano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, il sistema fiscale e previdenziale rimangono, in linea di massima, favorevoli alle famiglie monoreddito. Ciò rispecchia in larga misura le prestazioni sociali subordinate al reddito del nucleo familiare e il credito d’imposta del coniuge a carico, che dovrebbero essere gradualmente eliminate”.

La detrazione per il coniuge a carico è soltanto una delle agevolazioni fiscali e degli strumenti che tendono a confermare il vecchio schema della famiglia monoreddito che è basata su ruoli di genere radicati e che conta sulla donna come principale “ammortizzatore sociale”.

Ma la posizione della maggior parte dei lettori e delle lettrici non stupisce: per rinunciare ai vecchi equilibri è necessario creare i presupposti per trovarne di nuovi, cominciando ad esempio con il potenziamento del sistema di servizi utili a portare all’esterno i carichi familiari o per distribuirli in maniera più equa tra uomini e donne.

È questa la direzione da seguire per favorire l’occupazione femminile da cui dipende qualche passo avanti nella parità di genere ma anche una crescita complessiva del paese e una maggiore sostenibilità dei conti pubblici.

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