Accesso presso la sede del contribuente, il successivo avviso di accertamento è valido anche se l'interessato non è stato informato delle ragioni che giustificano la verifica. Lo stabilisce la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 41903/2021.
In sede di accesso presso la sede del contribuente, se i verificatori non lo informano delle ragioni che hanno giustificato l’accesso, il successivo avviso di accertamento è valido.
Infatti l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non ne comporta l’inutilizzabilità o l’invalidità dell’avviso di accertamento perché manca nel nostro ordinamento una specifica previsione normativa in tal senso.
L’art. 12 della L. 212/2000, infatti, nello stabilire obblighi informativi quando viene iniziata la verifica, non li contempla espressamente a pena di nullità.
Questo il sunto dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 41903/2021.
- Corte di Cassazione - Ordinanza n. 41903 del 29 dicembre 2021
- Il testo dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 41903 del 29 dicembre 2021.
I fatti – Alla chiusura delle operazioni di verifica fiscale condotta nei confronti di una società l’Agenzia delle entrate procedeva alla consegna del relativo processo verbale di constatazione e successivamente alla notifica del correlato avviso di accertamento.
Avverso l’atto de qua la società proponeva ricorso, accolto sia dalla CTP che dalla CTR.
Secondo il giudice d’appello l’avviso di accertamento doveva ritenersi illegittimo per violazione dell’art. 12, secondo comma, della legge n. 212 del 2000, che impone agli organi accertatori di informare il contribuente, al momento dell’accesso, delle ragioni che avevano giustificato la verifica fiscale.
Inoltre, la Commissione regionale evidenziava che, benché la verifica fiscale fosse connotata da ampia discrezionalità, tuttavia dovevano essere rispettati i principi dell’attività amministrativa, individuati nella imparzialità, pubblicità e trasparenza, di cui all’art. 1 della L. n. 241 del 1990.
Avverso la decisione di secondo grado l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione lamentando, per quanto di interesse, violazione del citato art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, in quanto l’acquisizione ed il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento costituisce una valida ragione dell’intervento.
A parere dell’Ufficio l’art. 12 della legge n. 212 del 2000, laddove richiede che la verifica deve essere giustificata da “effettive esigenze di indagine”, si riferisce alle modalità della scelta della verifica e non allo scopo della stessa.
L’attività di indagine comunque condotta, infatti, ha sempre e comunque la finalità di accertare un eventuale fenomeno di evasione fiscale e il contribuente non può, quindi, sindacare le ragioni che hanno determinato la verifica nei suoi confronti.
Sotto diverso profilo l’Erario ha osservato che l’incompleta od insufficiente esplicitazione delle ragioni che hanno giustificato la verifica fiscale non può costituire in alcun modo causa di illegittimità dell’atto impositivo emesso dall’ufficio tributario in assenza di una norma specifica in tale senso.
Pertanto, anche a voler ammettere una non compiuta osservanza dell’art. 12, secondo comma, della legge n. 212 del 2000, in fase di avvio delle operazioni di verifica, la stessa non comporta alcuna conseguenza in ordine alla validità dell’atto di accertamento.
La Suprema Corte di cassazione ha dichiarato fondati i motivi di ricorso della Parte erariale e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
La decisione – La vicenda processuale ruota attorno alla corretta interpretazione delle disposizioni contenute nell’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, che al primo comma prevede che
“tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali... sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo”
La norma continua disponendo che
“quando viene iniziata la verifica il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche”
Secondo il costante orientamento della Corte di cassazione la disposizione sopra richiamata, nello stabilire obblighi informativi “quando viene iniziata la verifica”, non li contempla espressamente a pena di nullità e, peraltro, anche in materia tributaria vale la regola della tassatività delle nullità.
Inoltre, l’onere di comunicare preventivamente l’oggetto della verifica fiscale non può desumersi, in via interpretativa, sul piano sistematico, poiché l’ordinamento tributario non prevede un generalizzato onere di procedere a preventivo contraddittorio endoprocedimentale al momento della mera raccolta degli elementi di prova, quale condizione della successiva utilizzabilità degli stessi.
Ciò premesso, l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso; sicché, gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso, salvo ovviamente la verifica della attendibilità e dei limiti di utilizzabilità derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico.
In altri termini l’effettiva esigenza di indagine fiscale legittima il ricorso all’attività istruttoria condotta presso la sede del contribuente, nonché la validità del successivo avviso di accertamento, anche senza l’esplicitazione delle ragioni che hanno giustificato l’accesso, a nulla rilevando il richiamo ai principi generali dell’attività amministrativa di imparzialità, pubblicità e trasparenza di cui all’art. 1 della L. n. 241 del 1990.
Infatti il procedimento tributario, pur essendo una specie del procedimento amministrativo in generale, gode di specifiche peculiarità che lo contraddistinguono dallo stesso.
La legge n. 241 del 1990 ha, dunque, valore “residuale”, anche in ragione dell’emanazione dello Statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge n. 212 del 2000, che ne rappresenta l’equivalente (autonomo) nella materia tributaria, mentre la legge n. 241 del 1990 è espressamente richiamata solo in alcuni casi e, pertanto, solo ove si è ritenuto di considerarla applicabile.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Nessuna lesione dei diritti del contribuente se i verificatori non esplicitano le ragioni delle verifica fiscale