L'accertamento fiscale sulle attività di ristoranti, trattorie e pizzerie può avere come base di riferimento il numero di tovaglie consumate dall'esercente, purché tale elemento non sia l'unico parametro che integri le prove di un effettivo maggior reddito del contribuente
Con l’Ordinanza n. 16981/2018 la Corte di Cassazione ha statuito che l’accertamento presuntivo utilizzato nei confronti delle imprese di ristorazione, basato sull’utilizzo dei tovaglioli di carta, è legittimo solo se è incentrato su criteri metodologici accettabili e su plurimi elementi certi, dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
È nullo l’accertamento basato esclusivamente sul numero delle tovaglie di carta acquistate nell’anno al netto delle rimanenze.
Cos’è e come funziona il “tovagliometro” nei controlli fiscali di ristoranti e pizzerie
Il caso che analizziamo oggi ha avuto origine a seguito di un accertamento ai fini IRPEF ed Iva emesso sulla base delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza al termine di una verifica condotta nei confronti di un contribuente esercente attività di ristorante, trattoria e pizzeria.
Il contribuente ha impugnato l’atto impositivo ed il relativo ricorso è stato accolto dalla CTP. Stessa sorte è toccata all’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, rigettato dai giudici della CTR, avendo l’Amministrazione finanziaria fatto proprie in maniera acritica le risultanze del p.v.c. nonostante l’assenza di validità logico-giuridica delle presunzioni.
Inoltre, a parere dei giudici d’appello
“il metodo seguito per l’accertamento non era incentrato su criteri metodologici accettabili, trattandosi di mere presunzioni prive di riscontro oggettivo e in contrasto con le regole di comune esperienza”
L’unico elemento certo della metodologia utilizzata era dato dal
“numero delle tovaglie di carta acquistate nell’anno al netto delle rimanenze”, sul cui utilizzo era stato ricostruito il volume presunto di ricavi (ad ogni tovaglia era stato associato un numero di quattro clienti ed il relativo prezzo medio), “senza operare alcun abbattimento percentuale per lo scarto di tovaglie inutilizzate in quanto lacerate o in cattivo stato o perché utilizzate dal proprietario e dai familiari o perché sovrapposte su ogni tavolo”
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con cui ha lamentato violazione e falsa applicazione dell’articolo 39, comma 1 del D.P.R. n. 600 del 1973, asserendo che l’accertamento di maggiori ricavi poteva legittimamente fondarsi anche “su un unico elemento presuntivo e non necessariamente su una pluralità di fonti concordanti, purché dotato dei requisiti di gravità e precisione.”
La Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile.
Controlli fiscali su ristoranti e pizzerie: quali elementi utilizzare per la ricostruzione dei ricavi
Il caso di cui ci si occupa riguarda il cd. tovagliometro, lo strumento di accertamento presuntivo dei ricavi utilizzato nelle verifiche fiscali per individuare eventuali incassi in un esercizio di ristorazione, che la Cassazione ha ritenuto legittimo in più di una pronuncia (cfr. fra tutte Cass. n. 25129 del 2016).
A parere dei giudici di Piazza Cavour è inammissibile il motivo di ricorso dell’Agenzia delle entrate laddove sostiene l’utilizzabilità della citata metodologia ai fini dell’accertamento di maggiori ricavi dall’attività di impresa “di un solo elemento presuntivo purché preciso e grave.”
Nel caso di specie l’elemento presuntivo era costituito dal numero delle tovaglie disponibili e dal prezzo medio per coperto, su cui è stato ricostruito il volume d’affari presunto del contribuente.
Secondo i giudici di legittimità non è ammissibile la tesi addotta dall’Amministrazione finanziaria secondo cui i giudici d’appello, dinanzi ad un accertamento fiscale basato sul numero delle tovaglie inventariate e sul prezzo medio per coperto determinato con la parte, non avrebbe dovuto limitarsi ad annullare l’avviso di accertamento ma avrebbe dovuto compiere un esame di merito della pretesa tributaria e “rivalutarla alla stregua delle istanze di parte e dell’accertamento dell’ufficio.”
La carenza del motivo di doglianza sta nel fatto che l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto specificare se i ricavi accertati sarebbero stati maggiori rispetto a quelli dichiarati dal contribuente anche dopo aver utilizzato “i criteri di quantificazione delle rimanenze indicati dalla CTR”, e considerando un numero di persone per ogni tavolo ed un prezzo medio di ricavo per pasto inferiori a quelli ipotizzati dai verificatori ed indicati nel p.v.c.
In buona sostanza, la metodologia che utilizza il consumo di tovaglioli di carta come base per l’accertamento presuntivo, seppur legittima, deve essere avvalorata da ulteriori elementi che integrino le prove di un effettivo maggior reddito del contribuente.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Per il “tovagliometro” servono altri elementi oltre alle tovaglie di carta...