Nullo l'avviso di accertamento emesso prima della scadenza dei sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni da parte dei verificatori dell'Amministrazione finanziaria
È nullo l’avviso di accertamento emesso prima della scadenza dei sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni da parte dei verificatori dell’Amministrazione finanziaria.
Tale termine dilatorio si applica a qualsiasi tipologia di controllo, sia che si tratti di verifica o ispezione che di mero accesso finalizzato all’acquisizione di documentazione, perché è posto a garanzia dell’esercizio del diritto al contraddittorio da parte del contribuente.
Questo l’importante principio contenuto in diverse pronunce giurisprudenziali più o meno recenti.
Nullità dell’avviso di accertamento per mancato rispetto dei termini di emissione
La controversia qui analizzate - si confronti sul punto, in particolare, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 8750/2018 - trae origine dal ricorso presentato da una società avverso un avviso di accertamento per la rideterminazione del reddito d’impresa ai fini IVA e imposte dirette, emesso sulla base delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza.
Avverso l’atto de qua la società proponeva ricorso, accolto sia dalla Commissione Tributaria Provinciale che dalla Commissione Tributaria Regionale, sul rilevo che gli atti impositivi impugnati
“erano stati emessi senza il rispetto del termine dilatorio di cui all’articolo 12, comma 7 della L. 212 del 2000 e senza che l’amministrazione finanziaria avesse addotto una qualche ragione di urgenza”
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione del citato art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, per aver la CTR dichiarato illegittimo l’avviso di accertamento perché emesso ante tempus.
A parere della ricorrente i giudici d’appello hanno omesso di considerare che l’attività dei verificatori era consistita in una mera acquisizione documentale, effettuata presso il depositario delle scritture contabili della società.
L’Agenzia ha altresì rilevato che il mancato rispetto del termine dilatorio era giustificato dall’imminente approssimarsi della scadenza dei termini di decadenza per l’esercizio del potere accertativo e dalla particolare gravità delle violazioni contestate alla società contribuente, precisando anche che il contribuente non aveva assolto l’onere di dimostrare le proprie ragioni.
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle entrate e ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato.
Il termine dei 60 giorni e lo Statuto dei diritti del Contribuente
L’articolo 12, co. 7 della Legge numero 212 del 2000, lo Statuto dei Diritti del Contribuente, prevede che
“nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.
L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”
Partendo dal presupposto che è irrilevante ai fini della risoluzione della controversia che i verificatori abbiano erroneamente denominato “processo verbale di contestazione” quello che in realtà era un mero “accesso breve per acquisizione documentale”, i giudici di legittimità hanno ribadito il principio per cui il termine dilatorio previsto dalla legge deve essere ottemperato anche quando il verbale, non denominato formalmente “pvc”, sia un verbale meramente descrittivo delle operazioni di verifica.
Ciò in quanto le disposizioni contenute nell’articolo 12 esplicano i propri effetti su tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzate a garantire e potenziare il diritto al contraddittorio.
D’altro canto la locuzione “processo verbale di chiusura delle operazioni” contenuta nella norma consente di comprendere nel proprio ambito tutte le tipologie di verbali che concludano le operazioni di accesso, verifica o ispezione nei locali, indipendentemente dal loro contenuto.
La ratio della norma è appunto:
- da un lato, di riconoscere l’esercizio del diritto al contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio che chiuda le operazioni dei verificatori;
- e, dall’altro, di garantire le condizioni affinché l’amministrazione finanziaria possa formulare le proprie pretesa “non solo alla luce degli elementi raccolti, ma anche in base alle osservazioni su di essi rese dal contribuente.”
Da qui il fatto che la norma non preveda alcuna distinzione tra le varie tipologie di controllo, considerato che è necessario redigere un verbale di chiusura operazioni anche nel caso di accessi istantanei per l’acquisizione di documentazione, previsti ai sensi dell’art. 52, co. 6 del D.P.R. 633 del 1972.
Dopo aver fatto le suddette importanti precisazioni, il Collegio ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate perché, non essendo stato riprodotto il contenuto degli atti redatti dai verificatori, gli atti processuali non consentono di determinare con certezza il tipo di verifica effettuato dall’amministrazione finanziaria. Infatti, la ricorrente amministrazione ha sostenuto che l’accesso è consistito in un “accesso breve effettuato presso il tenutario delle scritture contabili”, contraddicendo la società, che ha affermato essere stato effettuato un primo accesso presso la sede legale e, quindi, presso il depositario della contabilità societaria.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: L’accertamento emesso prima del tempo è nullo