Abuso del diritto ed elusione fiscale: analizziamo insieme alcuni orientamenti giurisprudenziali.
Su Informazione Fiscale dedichiamo ormai da anni un particolare focus sul tema dell’abuso del diritto, a nostro avviso sempre più centrale nell’ambito del diritto tributario e societario nazionale.
Oggi partiamo da una considerazione che potrebbe apparire banale: l’Amministrazione finanziaria non può sempre sindacare le scelte imprenditoriali.
Ad esempio, in presenza di un’operazione complessa di riorganizzazione della struttura societaria tra imprese riconducibili al medesimo gruppo economico, assistita da valide ragioni economiche, non può parlarsi di abuso del diritto o di operazione elusiva per il solo fatto del perseguimento anche di un risparmio fiscale.
Se l’Amministrazione contesta tali operazioni deve fornire la prova del disegno elusivo e delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici utilizzati per un indebito risparmio d’imposta.
Dall’altro lato il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza di valide ragioni economiche, alternative o concorrenti, che giustificano le operazioni contestate dal Fisco.
Sono questi i principi contenuti in diversi orientamenti giurisprudenziali recenti e meno recenti; oggi torniamo, dato che ci sembra significativo, sul caso trattato nell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 31613/2018.
I fatti – La controversia è scaturita a seguito di un controllo effettuato dall’Agenzia delle entrate su una serie di operazioni di fusione per incorporazione e di scissione effettuate da alcune società facenti parte di un medesimo gruppo.
A parere dell’Amministrazione finanziaria le operazioni in oggetto presentavano profili di elusività ai sensi dell’articolo 37-bis del DPR 600/1973, nella versione vigente ratione temporis, perché poste in essere in assenza di valide ragioni economiche.
Da qui l’emissione di un avviso di accertamento, prontamente impugnato dalla società accertata.
La vicenda arrivava davanti alla Commissione Tributaria Regionale, che accoglieva le ragioni della società, dichiarando che l’Amministrazione finanziaria, nel contestare operazioni asseritamente elusive
“non può indicare come prova diverse condotte ipotizzabili da parte del contribuente, così da ostacolare la libertà di scelte imprenditoriali, costituzionalmente garantita”
A parere dei giudici d’appello, contrariamente a quanto asserito dall’Ufficio, sussistevano valide ragioni economiche nelle operazioni contestate di fusione e scissione, tanto da determinare l’illegittimità dell’avviso di accertamento.
L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso in cassazione, lamentando violazione dell’articolo 37 bis del DPR 600/1973 e del principio generale del divieto dell’abuso del diritto in materia tributaria, ricavabile dall’articolo 53 della Costituzione.
A parere dell’Ufficio la CTR aveva errato quando aveva dichiarato che l’attività di accertamento dell’Ufficio era in contrasto con la libertà di iniziativa economica, costituzionalmente garantita, quando invece si era limitato a verificare quale era la condotta che era lecito attendersi da un imprenditore accorto, in assenza del vantaggio fiscale.
Inoltre, l’Ente accertatore aveva contestato l’operazione societaria perché mossa essenzialmente da ragioni di risparmio d’imposta, in difetto di valide ragioni economiche e che la riorganizzazione del gruppo, quale scopo delle operazioni attenzionate, si sarebbe potuto attuare in modo diverso.
La Corte di Cassazione ha respinto il motivo principale di ricorso e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
La decisione – In materia di norme antielusive, l’articolo 37-bis del DPR 600/1973 è stato abrogato dall’articolo 1, comma 2 del Decreto Legislativo numero 128/2015 e tutte le disposizioni che richiamano detta norma si intendono riferite all’art. 10-bis della Legge numero 212 del 2000 Statuto dei diritti del contribuente, in quanto compatibili.
Per effetto della novella apportata dal d.lgs. 128 del 2015 il legislatore nazionale ha precisato, in linea con quanto già elaborato dalla Suprema Corte di Cassazione, che integra abuso del diritto il compimento di operazioni prive di sostanza economica, intendendosi per tali
“i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”
Allo steso tempo la norma sancisce che
“non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extra fiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente”, restando “ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”
Nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria aveva contestato la condotta abusiva del contribuente in quanto l’operazione societaria era stata considerata priva di valide ragioni economiche e spinta essenzialmente da ragioni di risparmio d’imposta.
Così facendo, a parere dei giudici d’appello, l’Agenzia delle entrate è entrata nel merito delle scelte imprenditoriali della società che sono, almeno in linea di principio, “insindacabili” sulla base del principio di libertà delle iniziative economiche costituzionalmente garantito.
A parere dei giudici di legittimità al caso in commento è applicabile il consolidato principio secondo cui costituisce condotta abusiva “l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo elusivo del fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera ove esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta; la prova del disegno elusivo, nonché delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato ed utilizzati solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria.”
D’altro canto incombe sul contribuente l’onere di dimostrare l’esistenza di valide ragioni economiche, alternative o concorrenti, che giustifichino le operazioni contestate dal Fisco.
I giudici di Piazza Cavour hanno inoltre ribadito che il sol fatto che l’imprenditore scelga di porre in essere un’operazione in base a un vantaggio fiscale non è un elemento sufficiente ad integrare una condotta elusiva, a condizione che l’operazione non alteri le ordinarie logiche d’impresa perché diretta esclusivamente o essenzialmente al beneficio fiscale e non alla realizzazione della causa concreta del negozio giuridico.
In altre parole, un’operazione può ravvisare profili di elusività quando non può spiegarsi altrimenti se non con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta.
Con precipuo riferimento agli aspetti elusivi legati ad operazioni di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, come nel caso in commento, la Corte di Cassazione ha chiarito che “integra gli estremi della condotta elusiva quella costruzione che, tenuto conto sia della volontà delle parti implicate che del contesto fattuale e giuridico, ponga quale elemento essenziale dell’operazione economica lo scopo di ottenere vantaggi fiscali”, alterando gli schemi negoziali ordinari.
Nella presente controversia l’Amministrazione finanziaria ha di fatto indicato all’operatore economico accertato quali avrebbero dovuto essere gli strumenti legislativamente corretti per raggiungere un determinato scopo. In tal modo essa si è assunta
“un ruolo che non le compete e che non giustifica i poteri di accertamento” perché, tuttalpiù, l’enunciazione sugli strumenti che avrebbero potuto essere utilizzati in alternativa rappresenta soltanto una diversa concezione … alla quale il contribuente non è tenuto ad uniformarsi”
Inoltre, già il giudice di merito aveva individuato le ragioni economiche alla base della riorganizzazione aziendale, escludendo l’aspetto relativo all’indebito risparmio d’imposta e tale decisione è stata avallata dai giudici di Piazza Cavour, i quali hanno aggiunto che, in presenza di
“un’operazione complessa di riorganizzazione della struttura societaria tra imprese riconducibili al medesimo gruppo economico, assistita da valide ragioni economiche, non può parlarsi di abuso del diritto o di operazione elusiva per il solo fatto del perseguimento anche di un risparmio fiscale”
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