Il termine mobbing si incontra, purtroppo, nel lavoro, ma riguarda anche alcuni aspetti tipici della psicologia.
Questa pratica si concretizza:
in una serie di azioni ostili e protratte nel tempo e che hanno l’effetto di sfavorire o nuocere una determinata persona
Anche se frequentemente ricondotto all’ambito lavorativo, il termine mobbing non si riferisce di per sé ad un particolare ambito o occupazione.
La casistica degli atti che possono essere etichettati come mobbing non è determinata in maniera stabile ma vi possono rientrare in generale maltrattamenti, vessazioni, atti persecutori, soprusi, controlli ingiustificati superiori alla media, conferimento di mansioni inferiori alla propria qualifica.
Le motivazioni che possono scatenare il mobbing sono varie e arrivano anche coinvolgere la razza, gli orientamenti sessuali, convincimenti etici o politici della persona.
Nella legislazione italiana non si riscontra nessun articolo specifico che regolamenta e tutela in particolare la pratica del mobbing; ciò però non significa che la vittima di questi atti non abbia alcuna protezione nel nostro ordinamento.
Gli atti e le azioni che possono essere considerate come mobbing sono, infatti, soggetti alle forme di tutela contrattuale e extracontrattuale, arrivando anche a configurare situazioni che possono ricadere nell’ambito della giurisprudenza penale.
Si pensi, a titolo di esempio, all’articolo 2087 del codice civile:
“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”
Si può parlare di mobbing quando si è in presenza nell’ambiente di lavoro di una serie di azioni che possono ledere la salute psicofisica della persona e che risultano prolungante nel tempo. Può anche darsi il caso che gli atti, scollegati l’uno dall’altro e non disposti in sequenza, non siano in sé stessi perseguibili: anche in queste situazioni però può concretizzarsi l’accusa di mobbing dal momento che a fare la differenza è la loro messa in atto costante e reiterata nel tempo.
Il mobbing può arrivare a creare una situazione di costrizione psicologica da parte di chi ne è vittima e può anche sfociare in sintomi sia psicologici che fisici più o meno gravi.
A volte le pratiche persecutorie possono spingersi fino a provocare danni alla salute di chi ne viene reso oggetto.
A definire in maniera precisa le caratteristiche delle azioni definibili come mobbing è intervenuta la storica sentenza della Corte di Cassazione numero 10037/2015.
Nel pronunciamento vengono riconosciti 7 criteri sulla base dei quali è possibile parlare effettivamente di azioni “mobbizzanti”.
Questi caratteri permettono di individuare con una certa precisione quelle situazioni che potrebbero essere di diritto etichettate come persecuzione sul luogo di lavoro.
I 7 parametri che accompagnano il mobbing sono:
I criteri citati possono essere importanti anche a titolo illustrativo per comprendere quali siano i segni concreti che possono accompagnare un’azione mobbizzante. Da un punto di vista generale in questi casi si assiste ad una violazione dell’obbligo del datore di lavoro di proteggere l’integrità fisica e la personalità morale del proprio lavoratore.
Si possono ascrivere alla galassia del mobbing una grande quantità di atti vessatori o di persecuzione volontaria.
Si può andare dalla semplice marginalizzazione che può comportare l’esclusione del dipendente o la minimizzazione della sua opinione o delle sue osservazioni fino al trasferimento forzato.
Il mobbing di frequente comporta per chi ne è oggetto lo svolgimento di compiti poco gratificanti o dequalificanti nei quali è viene compromessa la dignità del dipendente.
Anche se di solito sono le figure gerarchiche superiori che pongono in essere azioni di mobbing nei confronti dei loro sottoposti, è anche possibile che vittima e responsabile delle azioni siano persone di pari livello.
A volte e in casi più rari può accadere che le parti si invertano e che la vittima risulti essere il superiore.
I casi più frequenti di mobbing sono quelli a carattere verticale che può anche prendere il nome di bossing.
In queste situazioni è il superiore che pone in essere una penalizzazione ingiustificata e mirata nei confronti di un suo sottoposto facendo valere i vantaggi che derivano dalla propria posizione di superiorità.
Si riscontrano però anche casi di mobbing orizzontale che si svolgono tutti tra colleghi di pari grado: in queste situazioni una o più persone possono rivolgersi contro un altro lavoratore al loro stesso livello.
Un’ultima tipologia di mobbing è quello ascendente, cioè praticato ai danni di un superiore. In questi casi può avvenire che gruppi di dipendenti si coalizzino contro il proprio capo ostacolandone le decisioni e le funzioni anche con atti di ribellione e per mezzo di critiche immotivate.
Il mobbing può causare una serie di danni più o meno gravi o permanenti alla salute del lavoratore.
Nel caso sia riscontrato in sede giudiziaria un effettivo atto persecutorio si può procedere alla richiesta di risarcimento e alla reintegrazione della posizione precedente se era stata perduta.
Va detto che l’onere della prova in casi di questo tipo è tutta a carico del lavoratore che dovrà riuscire ad indicare con precisione i fatti e le situazioni etichettabili come mobbing. In particolare dovrà essere esibito il nesso causale che lega gli atti vessatori con i danni che si ritiene siano stati subiti dal lavoratore.
A tal fine si potrà fare ricorso alle testimonianze dei colleghi che però sono di frequente difficili da reperire perché gli altri lavoratori spesso possono non volersi esporre in casi di mobbing effettivo.
È per questo che si può anche ricorrere in queste situazioni alla semplice presunzione ovvero alla ricostruzione della finalità degli atti sotto osservazione sulla base delle circostanze in cui si sono svolte.
Il risarcimento dovuto per atti mobbizzanti può essere calcolato sulla base di due parametri fondamentali.
Il danno per il quale si richiede una compensazione, infatti, può essere: