L’interpello vale solo per chi lo richiede

Domenico Catalano - Dichiarazioni e adempimenti

Negli ultimi anni - soprattutto dal secondo mandato del direttore Ruffini in poi - l'Agenzia delle Entrate ha reso pubblici numerosi interpelli fatti dai contribuenti: ma le risposte valgono davvero per tutti?

L'interpello vale solo per chi lo richiede

Dal secondo mandato del direttore Ruffini in poi l’Agenzia delle Entrate ha iniziato a pubblicare numerose risposte agli interpelli.

La ratio è quella di consentire ai contribuenti di avere un quadro completo delle norme e delle relative posizioni dell’amministrazione finanziaria sulle varie questioni, soprattutto per ridurre i possibili contenziosi.

Occorre però evidenziare come la risposta data in sede di interpello produca effetti con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente perché nel nostro ordinamento giuridico non esiste un generico principio di affidamento del contribuente.

Questo principio è stato enunciato diverse volte dalla giurisprudenza negli ultimi anni, come nel caso oggi analizzato.

Interpelli Agenzia delle Entrate: la risposta vale solo per il caso specifico

Ad esempio, nella datata ma ancora oggi attuale ordinanza 9719/2018 della Corte di Cassazione veniva affrontata una controversia che vedeva protagonista una società a cui l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento ai fini IVA relativo all’indebita utilizzazione del regime del margine nell’ambito di acquisti intracomunitari di auto usate.

Avverso l’atto de qua la società proponeva ricorso, lamentando di aver utilizzato il regime speciale del margine, contestato dall’Agenzia delle entrate, per essersi adeguata ad un parere fornito dalla stessa amministrazione in un interpello reso a seguito di domanda di altro contribuente, per un caso analogo al proprio.

Il ricorso veniva accolto sia dalla CTP che dalla CTR, anche se i fatti erano avvenuti in epoca antecedente all’emanazione dello Statuto dei diritti del contribuente e all’introduzione dell’istituto dell’interpello.

In sede di appello i giudici di merito hanno affermato, con riferimento alle disposizioni in materia di interpello contenute nell’articolo 11, comma 2 e 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, che l’amministrazione finanziaria non avrebbe potuto discostarsi dalla risposta data con l’interpello ad un caso analogo a quello oggetto di controversia. Pertanto, bene avrebbe fatto la società ad adeguarsi a tale risposta

che ha l’effetto di dare certezza giuridica alle conseguenze tributarie derivanti dal suo operare nel senso conforme alla risposta

Da qui il rigetto dell’appello proposto dall’Ufficio finanziario che, per questo, presentava ricorso in Cassazione deducendo, come motivo principale, violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge 212 del 2000 perché l’interpretazione fornita dai giudici di secondo grado era contraria al dato letterale della citata norma.

Il valore giuridico degli interpelli dell’Agenzia delle Entrate

L’amministrazione finanziaria ricorrente ha chiesto ai giudici di legittimità di esprimersi sul caso di un contribuente che, impugnando l’atto impositivo emesso a seguito dell’indebito utilizzo del regime IVA del margine, ha invocato a proprio favore di essersi adeguato ad un parere reso dall’Agenzia delle Entrate su una istanza presentata da un altro contribuente.

A riguardo i giudici della Commissione Tributaria Regionale hanno dichiarato che l’istituto dell’interpello

è vincolante per l’amministrazione finanziaria anche rispetto a soggetti diversi dall’autore del quesito

Tale affermazione, a parere dell’Agenzia, sarebbe contraria al disposto di cui all’art. 11 della L. 212/2000 (Statuto dei Diritti del Contribuente), secondo cui la risposta data in sede di interpello spiega i propri effetti:

  • con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza;
  • e limitatamente al richiedente.

Inoltre mancherebbe, nell’ordinamento vigente, un principio di affidamento del contribuente

che abbia dato credito ad affermazioni contenute in un interpello proposto da un terzo alla Direzione regionale delle entrate su questioni simili a quella che lo riguardano

I giudici di Piazza Cavour ritengono fondato il motivo di ricorso prospettato dall’amministrazione finanziaria in quanto:

il richiamo del contribuente ad un generico principio di affidamento non trova supporto in nessuna norma di diritto e non è suffragato nemmeno dalle disposizioni successivamente intervenute, che tutelano l’affidamento fondato su risposte ad un interpello proposto dal singolo contribuente e su questioni specifiche che lo riguardano

Le diverse categorie di interpello presentabili all’Agenzia delle Entrate

Le categorie di interpello ammesse dal nostro ordinamento attualmente sono cinque:

1. Interpello ordinario, previsto dall’articolo 11, co. 1, lett. a) della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente), che consente di ottenere il parere dell’Agenzia delle Entrate rispetto a un caso concreto e personale. L’interpello va presentato prima di porre in essere il relativo comportamento fiscale e può avere ad oggetto l’interpretazione di una norma tributaria o la qualificazione di fattispecie nei casi in cui le disposizioni siano obiettivamente incerte.
2. Interpello probatorio, che consente di ottenere un parere circa la sussistenza delle condizioni per accedere a determinati regimi fiscali espressamente previsti dalla legge, come ad esempio nel caso di società “non operative”;
3. Interpello anti-abuso per l’applicazione della nuova disciplina dell’abuso del diritto di cui all’articolo 10-bis della Legge 212/2000;
4. Interpello disapplicativo, previsto dall’articolo 11, commi 2 e 3 della Legge 212/2000, emesso a seguito di presentazione di istanza da parte del contribuente per ottenere un parere in ordine alla disapplicazione di una norma antielusiva che, in linea di principio, troverebbe applicazione nella fattispecie prospettata.
5. Interpello sui nuovi investimenti, introdotto dal cd. decreto internazionalizzazione del 2015, che consiste nell’istanza presentata da parte di investitori, italiani o stranieri, che intendono effettuare in Italia investimenti, di valore non inferiore a trenta milioni di euro, con importanti ricadute occupazionali.

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