Gianfranco Antico

- Diritto societario


Il “decalogo” sulle società a ristretta base azionaria

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Una recente sentenza della Corte di Cassazione fornisce un vero e proprio decalogo in materia di società a ristretta base azionaria

È un vero e proprio decalogo quello fornito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza numero 6202/2023, in materia di società a ristretta base azionaria - società costituite da un numero esiguo di soci - legati da vincoli non necessariamente di parentela, ove la complicità è la caratteristica principale di un gruppo così composto - che richiama e fa propri una serie di pronunciamenti pubblicati nel corso di questi anni.

La legittimità della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base azionaria, che non abbia optato per il regime di trasparenza di cui all’articolo 116 del testo unico delle imposte sui redditi, è ormai consolidata, pur sé per le società di capitali, di norma, vige, ai fini tributari, la netta separazione tra la società e i singoli soci.

Detta presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola, in ogni caso, il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci.

Nei confronti del socio di una società a ristretta base azionaria trova applicazione l’art. 44 del TUIR, norma che disciplina i redditi di capitale, mentre se la partecipazione è detenuta in regime d’impresa il dividendo concorrerà alla formazione del reddito d’impresa, in forza di quanto disposto dagli artt. 48 e 59 dello stesso TUIR.

In estrema sintesi, le modalità di tassazione dei dividendi sono le seguenti:

Per completezza d’analisi rileviamo che l’articolo 1, commi da 999, della Legge numero 205/2017 (Legge di bilancio 2018), ha eliminato la distinzione tra partecipazioni qualificate e non qualificate possedute dalle persone fisiche ed ha introdotto una parificazione nella tassazione dei dividendi e plusvalenze relative alle diverse tipologie di partecipazioni, assoggettate entrambe all’aliquota del 26%, con ritenuta a titolo d’imposta per i dividendi e imposta sostitutiva per le plusvalenze.

Trattandosi di imputazione ai soci non normativamente definita occorre rilevare che il confine delle rettifiche in capo alla società trasferibili ai soci si è allargato, facendovi rientrare non solo quelle in cui vengono contestati maggiori ricavi o costi per operazioni inesistenti (dove la maggiore ricchezza può ritenersi successivamente distribuita ai soci), ma anche in alcuni casi quelle rettifiche legate alla deduzione dei costi e disciplinati dal reddito d‘impresa, di cui al TUIR.

Il “decalogo” oggetto della pronuncia della Corte di Cassazione numero 6202/2023

Indichiamo i diversi principi emessi, che costituiscono una guida in materia, che fanno capo all’ordinanza della Corte di Cassazione n. 40844 del 2021:

Si tratta di principi che vengono, quindi, ribaditi nella pronuncia numero 6202/2023, e che non riguardano solo le controversie su contestazioni di utili extracontabili:

ma più in generale tutti i casi di contestazioni rivolte alla compagine sociale, che siano relativi ai maggiori redditi derivanti da ricavi non dichiarati o da costi non sostenuti

Pertanto:

nel caso di instaurazione (o pendenza) di un unico giudizio, come quello in esame, avente ad oggetto la contestuale impugnazione degli atti impositivi nei confronti della società e dei soci, è evidente che il gravame interposto dall’Amministrazione finanziaria sul capo della sentenza che attiene alla società si estende anche al capo della sentenza che attiene ai soci, giacché il passaggio in giudicato non può che essere unitario per la pregiudizialità del primo sul secondo

Non opera, dunque, per gli Ermellini

nel caso di impugnazione parziale, l’acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata, che si verifica, invece, solo quando le diverse parti siano del tutto autonome l’una dall’altra e non anche quando la parte non impugnata si ponga in nesso consequenziale con l’altra e trovi in essa il suo presupposto (cfr. Cass., 24 gennaio 2019, n. 1850), con la conseguenza che la sola impugnazione del capo relativo all’annullamento dell’atto impositivo emesso nei confronti della società non consente la formazione del giudicato interno sul capo relativo all’annullamento degli atti impositivi emessi nei confronti delle socie, rispetto al quale non si può ravvisare acquiescenza parziale tacita per la stretta ed indissolubile dipendenza dalla definitività della relativa decisione

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