Il Jobs Act e le regole sul licenziamento tornano al centro dell'attenzione, per effetto del referendum abrogativo dell'8 e 9 giugno. Un'analisi della normativa prevista attualmente

Le regole prevista dal Jobs Act in materia di licenziamento tornano al centro dell’attenzione.
Il referendum in programma l’8 e il 9 giugno propone l’abrogazione delle norme entrate in vigore ormai nel lontano 2015, con il fine di reintrodurre le tutele previste dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori in caso di licenziamenti illegittimi.
Quali sono però le regole sotto stretta osservazione?
Con la riforma dell’articolo 18 e con l’entrata in vigore del Jobs Act, a partire dal 7 marzo 2015 sono state introdotte importanti novità in materia di licenziamenti individuali.
Con l’entrata in vigore del nuovo contratto a tutele crescenti, per i lavoratori assunti a tempo indeterminato ha fatto il suo debutto un nuovo regime di tutela nei casi di licenziamento illegittimo.
Ma non si tratta dell’unica regola attuale relativa al licenziamento. Nel Jobs Act sono state individuate disposizione precise per ogni caso di licenziamento illegittimo da parte dell’azienda di un impiegato assunto a tempo indeterminato.
Jobs act e licenziamento: le regole attuali
È il decreto legislativo n. 23/2015 la norma che ha cambiato le regole in materia di contratti di lavoro e licenziamenti e il primo dei quesiti previsti dal referendum in programma l’8 e il 9 giugno 2024 ne propone l’abrogazione integrale.
Quali sono però le disposizioni sulle quali saranno chiamati ad esprimersi cittadini e cittadine?
Con l’entrata in vigore del decreto attuativo del Jobs Act e con il debutto del contratto di lavoro a tutele crescenti è stata modificata e integrata la disciplina sanzionatoria e, nello specifico, le regole relative al licenziamento per i dipendenti assunti a tempo indeterminato.
Le nuove regole sono state applicate a partire dal 7 marzo 2015 ed esclusivamente in favore dei nuovi assunti, modificando quanto previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori in caso di licenziamenti individuali.
Nel dettaglio, con il Jobs Act vengono previsti i seguenti tipi di licenziamento:
- licenziamenti economici: il lavoratore ha diritto all’indennizzo ma non alla possibilità di reintegro in azienda;
- licenziamenti disciplinari ingiustificati: il lavoratore ha diritto all’indennizzo crescente in base all’anzianità di servizio;
- licenziamento discriminatorio: il lavoratore ha diritto al reintegro in azienda.
Al centro della contesa vi è l’obbligo di reintegra del lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato, previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e notevolmente ridimensionato a partire dal 2015.
C’è da specificare che molte delle regole previste dal Jobs Act sono state “smontate” dalla Corte Costituzionale, che negli anni ha depotenziato le regole in materia di licenziamento e previsto nei fatti un ritorno al passato su diversi fronti.
Jobs Act: licenziamento economico
Il Jobs Act ha previsto che in caso di licenziamento economico (per “giustificato motivo oggettivo”) al lavoratore spetti un’indennità crescente in base all’anzianità di servizio. È stato abolito il diritto al reintegro sul posto del lavoro previsto dall’articolo 18.
Si tratta nel dettaglio dei licenziamenti voluti dal datore di lavoro a seguito di crisi economiche dell’azienda, mancanza di liquidità o crisi organizzativa.
Cosa è cambiato con l’applicazione delle regole sul licenziamento del Jobs Act?
In base a quanto previsto dalla Legge n. 92/2012, ovvero la Legge Fornero, in precedenza il lavoratore che riteneva ingiustificato il licenziamento poteva chiedere il parere di un Giudice, il quale poteva scegliere se applicare il diritto al reintegro del lavoratore sul posto di lavoro.
La tutela prevista per il lavoratore contenuta nell’articolo 18 dello Statuto è stata completamente abolita con il Jobs Act e il contratto a tutele crescenti, prevedendo che l’unico diritto per il lavoratore in caso di insussistenza delle motivazioni alla base del licenziamento è quello a ricevere un’indennità crescente sulla base del periodo di anzianità di lavoro.
Il tema dei licenziamenti economici è tornato al centro dell’attenzione dopo la crisi pandemica. La Corte Costituzionale è intervenuta in merito con la sentenza n. 128/2024, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 2 del decreto legislativo n. 23/2015.
In sintesi, la Corte ha previsto che la tutela dell’indennità a titolo di risarcimento non è sufficiente in caso di insussistenza del fatto materiale. Se quindi il licenziamento deriva da questioni economiche o organizzative insussistenti, il lavoratore ha diritto al reintegro nel proprio posto di lavoro.
Jobs Act: licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa
Il Jobs Act ha stabilito che, in caso di grave violazione da parte del lavoratore rispetto alle clausole e agli obblighi stabiliti dal contratto nazionale, il dipendente possa essere licenziato con un preavviso indennizzabile in busta paga.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo riguarda i casi in cui il lavoratore lasci il posto di lavoro senza motivo, minacci un collega, il datore di lavoro o causi una rissa all’interno del posto di lavoro o se ci sono continue violazioni del codice disciplinare dell’azienda che possono causare licenziamento immediato del dipendente.
Inoltre i licenziamenti individuali disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo sono operati dai datori di lavoro in caso di comportamenti che possano aver incrinato il rapporto di fiducia aziendale e la prosecuzione del contratto di lavoro.
Si tratta dei gravi comportamenti individuati nell’articolo 2119 del codice civile ovvero, a titolo esemplificativo, insubordinazione, rifiuto di tornare a lavoro dopo visita fiscale, furto di beni aziendali, condotte penalmente rilevanti fuori dal luogo di lavoro.
Con il Jobs Act viene previsto che in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo non è possibile richiedere la reintegrazione, eccetto per i casi di licenziamento disciplinare ingiustificato.
Con le modifiche apportate allo Statuto dei Lavoratori è venuto meno il principio in base al quale il lavoratore aveva il diritto di rivolgersi al Giudice il quale, sentite le parti, poteva deliberare sul reintegro del lavoratore in caso di insussistenza delle motivazioni alla base del licenziamento.
Anche su questa fattispecie è in ogni caso bene evidenziare che la Corte Costituzionale si è espressa a più riprese nel corso degli anni e, tra i punti al centro dell’attenzione, vi è soprattutto l’importo dell’indennità da riconoscere in caso di insussistenza del fatto.
Jobs Act: licenziamento discriminatorio
La possibilità di ottenere non solo il risarcimento ma anche il reintegro lavorativo interviene nel caso di licenziamento discriminatorio, ovvero avvenuto a causa di motivazioni legate a razza, sesso, lingua, saluti, in caso di congedo matrimoniale, maternità, paternità.
Il lavoratore dovrà riprendere servizio entro 30 giorni dall’invito formulato dal datore di lavoro, eccetto nel caso in cui il lavoratore richieda l’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Il lavoratore che scelga di richiedere l’indennità sostitutiva chiede implicitamente la risoluzione del contratto di lavoro.
Per quanto riguarda il risarcimento del danno l’indennità dovrà tener conto della retribuzione maturata dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione e non potrà essere inferiore a 5 mensilità. A titolo di risarcimento del danno il datore di lavoro è obbligato anche al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali in favore del lavoratore.
Si tratta dell’unico caso in cui il Jobs Act non ha modificato o integrato le disposizioni contenute nel precedente articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e quindi sono rimaste sostanzialmente invariate vecchie e nuove regole.
Jobs Act: termini dell’impugnazione del licenziamento
Ulteriore regola introdotta dal Jobs Act relativamente alle regole per il licenziamento riguarda i termini certi per l’impugnazione.
In sostanza con l’entrata in vigore del contratto a tutele crescenti è stato stabilito che il lavoratore può impugnare il licenziamento entro 60 giorni dalla ricezione della notifica.
Per effettuare l’impugnazione stragiudiziale il lavoratore avrà, invece, 180 giorni di tempo per depositare il ricorso contro il licenziamento al Tribunale del Lavoro.
Questi quindi alcuni dei temi sul tavolo in vista del prossimo referendum abrogativo dell’8 e del 9 giugno. In un mercato del lavoro notevolmente cambiato rispetto al 2015, al netto di quel che sarà l’esito del voto è in ogni caso evidente la necessità di un cambio d’approccio, sul quale già la Corte Costituzionale ha più volte puntato l’attenzione.
Spetta al Legislatore adeguare le norme ai tempi. Il referendum rappresenta in tal senso un momento di riflessione per tutti, lavoratori, aziende, ma anche per chi è chiamato a scrivere le “regole del gioco”.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Jobs Act: le regole in materia di licenziamento