No alla cartella se l’errore è interpretativo e non di calcolo

Emiliano Marvulli - Imposte

La cartella di pagamento, prevista dall'articolo 36-bis del DPR n. 600 del 1973, non può essere emessa se c'è bisogno di un'indagine interpretativa della documentazione e non si tratta di un mero errore di calcolo. Lo ha affermato la Corte di Cassazione

No alla cartella se l'errore è interpretativo e non di calcolo

L’Amministrazione finanziaria non può emettere la cartella di pagamento ex art. 36-bis del DPR n. 600 del 1973 qualora venga in rilievo non già un errore materiale o di calcolo bensì l’interpretazione di una disposizione normativa.

Infatti, se è necessaria un’indagine interpretativa della documentazione allegata, ovvero una valutazione giuridica della norma applicata, la menzionata disposizione non è applicabile, occorrendo un atto d’accertamento esplicitamente motivato, il quale soltanto è idoneo a rendere edotto il contribuente del processo logico giuridico seguito dall’Amministrazione nella diversa determinazione dell’imponibile ed a metterlo in condizione di potersi adeguatamente difendere.

È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 9759 dell’11 aprile 2024.

La cartella di pagamento non può essere emessa se l’errore è interpretativo e non di calcolo

La sentenza di parziale accoglimento del ricorso emessa della CTP è stata completamente riformata dai giudici d’appello, che hanno dichiarato l’illegittimità della cartella di pagamento decretandone la nullità.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione lamentando violazione del disposto di cui all’art. 36-bis del DPR n. 600/1973.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo proposto dalla Parte pubblica e ha rigettato il ricorso.

Nella decisione in commento la Suprema Corte ha richiamato il potere di cui al comma 2, lett. e) dell’art. 36-bis del DPR n. 600/1973 per cui gli Uffici finanziari, nell’ambito del controllo automatizzato delle dichiarazioni, possono ridurre i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazione.

Tale potere, chiarisce la Corte, è esercitabile soltanto quando l’errore sia rilevabileictu oculi”, a colpo d’occhio, a seguito di mero riscontro cartolare delle dichiarazioni presentate, nei casi eccezionali e tassativamente indicati dalla legge, vertenti su errori materiali e di calcolo, non abbisognevoli di alcuna istruttoria ed emendabili dall’Amministrazione anche a vantaggio del contribuente.

Qualora, invece, sia necessaria un’indagine interpretativa della documentazione allegata, ovvero una valutazione giuridica della norma applicata, la menzionata disposizione non è applicabile, occorrendo un atto d’accertamento esplicitamente motivato, il quale soltanto è idoneo a rendere edotto il contribuente del processo logico giuridico seguito dall’Amministrazione nella diversa determinazione dell’imponibile ed a metterlo in condizione di potersi adeguatamente difendere.

No al disconoscimento di un credito d’imposta senza aver prima inviato un avviso

Pertanto, l’Amministrazione finanziaria non può emettere la cartella di pagamento ex art. 36-bis del DPR n. 600 del 1973 qualora venga in rilievo non già un errore materiale o di calcolo bensì l’interpretazione di una disposizione normativa (nella specie, quella dell’art. 43-bis del DPR n. 602 del 1973).

Con più specifico riferimento al “thema” oggetto del presente giudizio la Corte ha ribadito che l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta ai sensi degli artt. 36-bis del DPR n. 600/1973 e 54-bis del DPR n. 633/1972 è ammissibile solo quando il dovuto sia determinato mediante un controllo meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente o di una correzione di errori materiali o di calcolo, non potendosi, invece, con questa modalità, risolvere questioni giuridiche.

Ne consegue che il disconoscimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di un credito d’imposta non può avvenire tramite l’emissione di cartella di pagamento avente ad oggetto il relativo importo, senza essere preceduta da un avviso di recupero di credito d’imposta o quanto meno bonario. Da qui il rigetto del ricorso.

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