Il reato di diffamazione: dal codice penale alla giurisprudenza

Redazione - Leggi e prassi

Reato di diffamazione: normato dall'articolo 595 del codice penale può dare luogo a pene molto serie. Le caratteristiche del reato, come viene punito e la giurisprudenza sul tema, in continua evoluzione anche a causa delle caratteristiche della rete, che sfugge ai confini nazionali.

Il reato di diffamazione: dal codice penale alla giurisprudenza

Reato di diffamazione: tutelare la reputazione e l’onore della persona per garantirne l’integrità morale e la dignità è il principio su cui si basa. A regolarlo è l’articolo 595 del codice penale. E in questo senso la diffamazione si configura come un limite della libertà di pensiero, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione.

Particolarmente interessante è la combinazione di espressioni configurabili come diffamazione con i nuovi social media, e più in generale con gli strumenti del web. La dimensione di pubblicità che caratterizza questi canali, infatti, dà luogo ad una delle aggravanti previste dal codice penale. E nelle dinamiche che li caratterizza non è sempre facile individuare chiaramente il responsabile, o i responsabili, del reato.

Cerchiamo di fare il punto sul reato di diffamazione, partendo dall’articolo 595 del codice penale e arrivando alla giurisprudenza in materia. A cui si aggiungono sempre nuovi tasselli: con la sentenza numero 12546 del 20 marzo 2019 la Corte di Cassazione si è espressa sulla responsabilità del blogger, in determinate circostanze, per i commenti ai post pubblicati e per il 4 giugno 2019 si attende la decisione della Corte di Giustizia europea su un caso che coinvolge una cittadina austriaca, Facebook e la richiesta di oscurare i commenti lesivi che la riguardano in tutto il mondo.

Il reato di diffamazione nel codice penale

La diffamazione è un reato normato dall’articolo 595 del codice penale con il quale si punisce chi reca offesa alla reputazione di una persona non presente. Le pene possono arrivare fino a 3 anni di reclusione e 2.000 euro di multa.

La diffamazione, a differenza dell’ingiuria (depenalizzata dal 2016), si configura come un’offesa all’onore compiuta in assenza della persona denigrata. Il codice penale specifica come la diffamazione per essere tale e, quindi, per dare luogo alle relative pene deve essere comunicata a più persone.

Riassumendo quindi la diffamazione punita dal codice penale ha le seguenti caratteristiche ed elementi essenziali:

  • reca offesa alla reputazione della persona,
  • deve essersi consumata in assenza della persona offesa (in caso contrario si configura l’illecito di ingiuria),
  • deve essere comunicata a più persone.

È riservato al giudice la determinazione, nel caso specifico, di quali espressioni possono essere ricomprese all’interno del reato di diffamazione. I margini riconosciuti alla lettera del codice penale possono essere molto ampi dal momento che, a titolo d’esempio, l’affissione al portone condominiale dei nominativi dei condomini morosi è stato recentemente riconosciuto come reato di diffamazione (Cass. n. 39986/2014).

Reato di diffamazione: le pene indicate dal codice e aggravanti

Il reato di diffamazione può dare luogo a delle pene anche molto rilevanti arrivando fino alla reclusione. Le pene a cui si è soggetti secondo il codice penale (ex art. 595) sono riassunte nella tabella seguente, completate con l’indicazione delle aggravanti:

Reato di diffamazioneReclusioneMulta
Diffamazione semplice Fino a 1 anno Fino a 1.032 euro
Diffamazione per attribuzione di un fatto determinato Fino a 2 anni Fino a 2.065 euro
Diffamazione per stampa o mezzo altro mezzo di pubblicità Da 6 mesi fino a 3 anni Non inferiore ai 516 euro

Reato di diffamazione: la comunicazione a più persone nel codice penale e nella giurisprudenza

Come già accennato, il reato di diffamazione è ascrivibile ad un comportamento lesivo della reputazione della persona se viene comunicato a più persone. L’orientamento della giurisprudenza in materia si è consolidato in un’interpretazione estensiva della diffamazione che viene a comprendere anche le offese fornite mediante la rete.

Il requisito della comunicazione a più persone richiesto per il reato di diffamazione si considera soddisfatto anche se la diffusione avviene progressivamente o in momenti successivi (Cass. n. 7408/2011) come nel caso del passaparola. Viene punito ai sensi del codice penale anche un’offesa inviata ad una persona specifica che può però essere fattivamente intesa da più persone (Cass. n. 10263/1981).

Di particolare delicatezza risulta essere la questione della diffamazione descritta dal codice penale in relazione ai nuovi mezzi di comunicazione. A tal proposito è bene sottolineare che l’aggravante di comunicazione per mezzo di stampa o altro strumento di pubblicità viene a verificarsi anche nel caso di condotte diffamatorie perpetrate su social-network (Facebook, Twitter, ecc.), potenzialmente accessibili da tutto il mondo così come ogni contenuto che viaggia in rete.

Proprio su questo punto, si attende il 4 giugno la decisione della Corte di Giustizia europea, che deve esprimersi sulla diatriba tra una cittadina austriaca al centro di commenti lesivi e Facebook.

Il colosso delle relazioni amicali 2.0 ha oscurato i contenuti che la riguardano ai cittadini austriaci, ma si tratta di una soluzione che potrebbe verificarsi parziale.

La Corte suprema austriaca si è rivolta a quella europea per verificare la possibilità di chiedere a Facebook di oscurare i commenti anche nel resto del mondo, dimostrando ancora una volta che la tutela della persona, in rete, è una questione controversa e complessa e che le sentenze nazionali hanno hanno limiti territoriali che il web non ha.

Ma i social network non sono l’unico spazio della rete in cui si configura l’aggravante per diffusione mediante mezzo di pubblicità (c. 3, art. 595 del codice penale), lo stesso accade anche per le comunicazioni diffuse per mezzo di posta elettronica, anche mediante lo strumento del “forward” (Cass. n. 29221/2011).

E ancora, un altro luogo virtuale in cui la diffamazione è aggravata sono i blog: proprio sul tema si è aggiunto un altro tassello alla giurisprudenza che riguarda la materia il 20 marzo 2019. Con la sentenza numero 12546, la Corte di Cassazione si è espressa sulla responsabilità del blogger per la pubblicazione, da parte di terzi, di commenti diffamatori ai post presenti sulle pagine che gestisce.

Se, infatti, il gestore del sito apprende che sono stati pubblicati da terzi contenuti obiettivamente denigratori e non si attiva subito per rimuoverli, finisce per farli propri e quindi per mettere in atto una condotta di diffamazione. Si stabilisce che la colpa del blogger è quella di consentire, proprio utilizzando il blog che gestisce, l’ulteriore divulgazione delle notizie diffamatorie.

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